Dio è entrato nella storia. Da quel giorno nessuno potrà più accusarlo di essere nei cieli, lontano perché Lui è qui, presente, in mezzo a noi. Mi stupisce e mi affascina questo Dio così innamorato di noi da diventare uno di noi per rivelarsi e farsi conoscere. Avrebbe potuto scegliere mille altri modi per mostrarsi vicino all'uomo e invece sceglie di abitare la nostra carne e trasfigurarla.
Sceglie Betlemme, una stalla ed è così che l'Eterno entra dentro la nostra storia e viene ad abitare tra gli uomini. L'immensità che neppure i cieli possono abbracciare, è stretta tra le braccia tremanti di una giovanissima adolescente. Se vogliamo comprendere fino in fondo il Natale, dobbiamo eliminare tutte le scorie che abbiamo appiccicato a questa festa. E allora ben venga questo Natale strano, insolito, molto simile a quel primo Natale. In fondo se ci pensiamo bene anche allora c'era ben poco da festeggiare. Un bambino che nasce solo, in messo ad una strada e nell'indifferenza del mondo.
Il Natale da sempre conserva un velo di tristezza perché è il racconto di un Dio che si fa uomo nell'indifferenza degli uomini. Certo, ci deve essere spazio per la gioia e la dolcezza, ma Natale non è solo questo. Questo Natale un po' strano ci ricorda forse, finalmente, che questa festa, tutta questa attesa è per Lui! Per quel bimbo indifeso che deve essere nutrito al seno della madre, cambiato, coccolato e curato.
A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimentale, né tantomeno la festa della bontà ma il giudizio sul mondo. Da quella notte il senso della storia ha cambiato direzione: non dobbiamo più sforzarci di raggiungere Dio perché è Lui che ci viene incontro.
Allora buon Natale! Dio stanco di essere frainteso, quest’oggi ha scelto di raccontarsi.
Da domenica prossima 29 novembre, prima di Avvento, sarà in uso nelle parrocchie della Diocesi il Nuovo Messale Romano. Apriamo la rubrica “Vivere la liturgia” di don Franco Bartolino, parroco della Cattedrale di Pozzuoli e liturgista. La rubrica ci guiderà tra le novità del Messale appena pubblicato e ci introdurrà nel Mistero che celebriamo.
La liturgia, che in modo del tutto speciale comunica la vita divina e la capacità di amare, costituisce un affacciarsi del Cielo sulla terra, poiché esprime la bellezza dell’amore di Dio rivelatoci nel Mistero pasquale.
Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor.
Diceva i vescovo Mariano Magrassi a un corso di aggiornamento per i Vescovi sulla liturgia nel lontano 1988: “La liturgia non è una cosa da fare, è una persona da incontrare!”. Se noi non mostriamo lui e il suo volto, se non facciamo incontrare il Cristo la nostra azione è fallimentare.
L'Anno liturgico ci educa a questa verità e alla bellezza di certi giorni e di alcuni momenti. Una bellezza da ricercare, da coltivare, da riscoprire personalmente e con le nostre comunità nelle celebrazioni liturgiche.Al riguardo ritengo sia importante riconoscere il positivo che già c’è: quante belle celebrazioni, vive e vivaci, partecipate e solenni, grazie alla preparazione e ad una collaborazione diffusa. Possiamo notare anche oggi in molti casi una vera e propria arte del celebrare (ars celebrandi), non come qualcosa tipico del “teatro”, ma vera e propria specifica arte che “comporta competenza, rigore, serietà, qualità (actuosa partecipatio). Qualcuno rimpiange la solennità, la sacralità del passato; sta a noi farla rivivere, ma seriamente e consapevolmente, dando spazio al silenzio, alla verità dei segni, al rispetto dei testi. L’appiattimento, la banalizzazione e la improvvisazione non si trovano prescritti nelle indicazioni della riforma liturgica.
Da domenica 29 novembre, prima di Avvento, nelle parrocchie della nostra diocesi sarà in uso il Nuovo Messale Romano. Abbiamo chiesto a don Franco Bartolino, parroco della Cattedrale di Pozzuoli e liturgista, di introdurci nel mistero che celebriamo attraverso la rubrica "Vivere la liturgia".
Nel 1983 la CEI pubblicò una Nota pastorale a vent’anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium dal titolo “Il rinnovamento liturgico in Italia”. Fin dalle prime pagine sotto il titoletto “Una presidenza da esercitare” si trova scritto: “Per coloro, che in virtù dell’Ordine sacro sono chiamati ad esercitare il ministero della presidenza, risuona tuttora l’ammonimento dell’Apostolo: “Chi presiede lo faccia con diligenza” (Rm 12, 8). Da ciò deriva loro il dovere di apprendere e di affinare l’arte di presiedere le assemblee liturgiche al fine di renderle vere assemblee celebranti, attivamente partecipi e consapevoli del mistero che si compie (PO 5).
E più avanti con un altro titoletto “Un servizio da prestare” continua: “Attenzione particolare dovrà essere dedicata a quei fedeli che collaborano all’animazione e al servizio delle assemblee. Consapevoli di svolgere un vero ministero liturgico (SC 29), è necessario che essi prestino la loro opera con competenza e con interiore adesione a ciò che fanno. Nell’esercizio del loro ministero essi sono ‘segni’ della presenza del Signore in mezzo al suo popolo. Con la molteplicità e nell’armonia dei loro servizio - dalla guida del canto alla lettura, alla preparazione della mensa, dalla presentazione dei doni alla distribuzione dell’Eucaristia - essi esprimono efficacemente l’unità di fede e di carità che deve caratterizzare la comunità ecclesiale, a sua volta segno e sacramento del mistico corpo di Cristo”. Un’armonia di competenze e collaborazioni diverse, una ministerialità diffusa che dice la bellezza della comunità e della sua liturgia.
L’arte del celebrare dunque interessa tutti e soprattutto chi esercita un ufficio, un compito, un ministero. Quindi riguarda noi che per vocazione, siamo tra i primi protagonisti di una buona celebrazione, che si compie con un’arte che le è propria.
Certamente Dio non ha bisogno della nostra bellezza ma la vuole per noi, come ci ricorda il testo di un Prefazio che ci invita ad avere la consapevolezza che "Tu, Signore, non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva".
In occasione del Congresso Eucaristico Nazionale di Milano il cardinale Carlo Maria Martini nella sua lettera “Attirerò tutti a me” del 1982 affermava: “L’esperienza insegna che dietro un imperfetto celebrare c’è un vivere anch’esso imperfetto. Se l’Eucaristia è il centro della comunità, essa ne diventa anche un po’ lo specchio. C’è dunque una ragione profonda, tratta dal dinamismo stesso della celebrazione, che ci invita a leggere in trasparenza liturgia e vita”. Potremmo dire cioè di una comunità: mostrami come celebri e ti dirò chi sei; dalla tua Eucaristia domenicale riconosciamo la tua bellezza.
Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium afferma: “La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre festeggiare. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi” (n. 24). Evangelizzazione, carità e liturgia: insieme possono fare il cristiano e il mondo in cui vive più bello.
in questa splendida cornice celebrativa a conclusione di questo giorno in cui abbiamo fatto memoria del 92° anniversario di fondazione della vostra Famiglia Religiosa, dono del Signore che risplende nella Chiesa e vanto della nostra Chiesa diocesana, desidero condividere con voi una breve riflessione sulla fraternità, prendendo spunto dalla terza Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” firmata lo scorso 3 ottobre ad Assisi e che propone una terapia per la fraternità in un mondo malato e non solo di Covid.
Il testo di riferimento è quello del Buon Samaritano e che ha come sfondo la lode a Dio e alle opere della natura tutta, in cui è riflessa l'immagine e la mano del suo Creatore. Papa Francesco introduce l’Enciclica con queste parole: «Fratelli tutti», scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo.
Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita.
Questo Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia, che mi ha ispirato a scrivere l’Enciclica Laudato si’, nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova Enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale. Infatti san Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».
Papa Francesco con questa Enciclica, tocca le ferite della povertà, della devastazione delle guerre e delle afflizioni di tanti fratelli e sorelle in diverse parti del mondo a causa della corsa agli armamenti, delle ingiustizie sociali, della corruzione, delle disuguaglianze, del degrado morale, del terrorismo, della discriminazione, dell’estremismo e di tanti altri motivi.
“Fratelli tutti” ha come unico obiettivo la pace, la pace interiore che scaturisce dal senso di fraternità con gli altri, che abbraccia e prega per i fratelli invisibili vittime delle peripezie migratorie annegati nel Mediterraneo, che lui stesso chiamerà, mare del meticciato; ed esorta ad abbracciare i conflitti, abbattere i muri, immaginare e costruire la pace. Ma dove si impara la fraternità? Dove si apprende la pace? Come un semplice maestro che si rivolge ai suoi alunni, Papa Francesco in Amoris Lætitia scrive: «La relazione tra i fratelli si approfondisce con il passare del tempo, e il legame di fraternità si forma in famiglia tra i figli, e se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace».
Nasce così una pedagogia del quotidiano, in cui la fraternità non si dissocia dal Vangelo: diviene lotta per la giustizia sociale e cura del pianeta. Un desiderio per un mondo “con” e “dopo” il coronavirus capace di viaggiare sulla base della fraternità, della solidarietà e dell’ecologia integrale.
Uscire da sé verso il fratello è un’assoluta priorità sottolineata da Papa Francesco anche nella Gaudete et exultate: Gesù stesso si è fatto periferia. Per questo, se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo e Lui sarà già lì.
Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno. Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace. Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre. Il nostro cuore si apra a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen.
Ti rendo grazie Signore con tutto il cuore …Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà. Signore la tua bontà dura per sempre. (dal salmo 138)
Carissime sorelle,
con le parole del salmo 138 eleviamo al Signore il nostro inno di ringraziamento per questi 92 anni della nostra Congregazione , dono di grazia per la Chiesa, dono di grazia per ciascuna di noi, dono di grazia per i “ piccoli, gli ultimi, gli afflitti “.
Nella solennità di Tutti i Santi”, abbiamo ascoltato il vangelo delle Beatitudini. Come i discepoli ci avviciniamo al Maestro che ci insegna la strada della felicità, della gioia eterna…la strada delle Beatitudini…una strada poco frequentata, intrapresa dai più audaci, da chi non si accontenta di vivere una vita mediocre, egoistica, da chi segue le orme del Maestro…di Gesù, povero , mite e umile di cuore.
Anche M.Ilia, la sera di quel 3 novembre 1928, si è incamminata per questa strada, spinta dal quel fuoco che le ardeva nel cuore…”Io voglio vivere, vivere e amare” (da Lampade viventi), e ancora…”Tu sei l’Amore poco amato, l’Amore poco conosciuto […] Venga, venga il Tuo regno d’amore. (dal Diario spirituale).
In queste sue parole cogliamo la consegna fiduciosa della creatura al Creatore, la gioia profonda, l’audacia, lo zelo per il Regno. Seguiamo le sue orme, per rispondere alle attese del Signore e dei fratelli tutti.
In questo tempo di sofferenza, di tensione, di incertezze generate dalla pandemia lei viene a ricordarci il nostro “oggi”: vegliare all’ombra dei tabernacoli, diventare eucarestia, farsi pane spezzato, farsi prossimo, donare una “parola d’amore”, diffondere il bene e il sorriso.
Con la Vergine Maria cantiamo il nostro Magnificat, per le meraviglie compiute dall’Onnipotente in noi e attraverso di noi.
Martedì 3 novembre, 92° anniversario di fondazione della Congregazione (1928-2020), celebreremo i vespri solenni alle ore 18,00 nella nostra chiesa di S. Croce. Il momento di preghiera sarà presieduto da don Franco Bartolino e trasmessa la diretta su facebook per quanti non possono essere in presenza con noi.