Da domenica prossima 29 novembre, prima di Avvento, sarà in uso nelle parrocchie della Diocesi il Nuovo Messale Romano. Apriamo la rubrica “Vivere la liturgia” di don Franco Bartolino, parroco della Cattedrale di Pozzuoli e liturgista. La rubrica ci guiderà tra le novità del Messale appena pubblicato e ci introdurrà nel Mistero che celebriamo.

La liturgia, che in modo del tutto speciale comunica la vita divina e la capacità di amare, costituisce un affacciarsi del Cielo sulla terra, poiché esprime la bellezza dell’amore di Dio rivelatoci nel Mistero pasquale.

Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor.

Diceva i vescovo Mariano Magrassi a un corso di aggiornamento per i Vescovi sulla liturgia nel lontano 1988: “La liturgia non è una cosa da fare, è una persona da incontrare!”. Se noi non mostriamo lui e il suo volto, se non facciamo incontrare il Cristo la nostra azione è fallimentare.

L'Anno liturgico ci educa a questa verità e alla bellezza di certi giorni e di alcuni momenti. Una bellezza da ricercare, da coltivare, da riscoprire personalmente e con le nostre comunità nelle celebrazioni liturgiche. Al riguardo ritengo sia importante riconoscere il positivo che già c’è: quante belle celebrazioni, vive e vivaci, partecipate e solenni, grazie alla preparazione e ad una collaborazione diffusa. Possiamo notare anche oggi in molti casi una vera e propria arte del celebrare (ars celebrandi), non come qualcosa tipico del “teatro”, ma vera e propria specifica arte che “comporta competenza, rigore, serietà, qualità (actuosa partecipatio). Qualcuno rimpiange la solennità, la sacralità del passato; sta a noi farla rivivere, ma seriamente e consapevolmente, dando spazio al silenzio, alla verità dei segni, al rispetto dei testi. L’appiattimento, la banalizzazione e la improvvisazione non si trovano prescritti nelle indicazioni della riforma liturgica.

Da domenica 29 novembre, prima di Avvento, nelle parrocchie della nostra diocesi sarà in uso il Nuovo Messale Romano. Abbiamo chiesto a don Franco Bartolino, parroco della Cattedrale di Pozzuoli e liturgista, di introdurci nel mistero che celebriamo attraverso la rubrica "Vivere la liturgia".

Nel 1983 la CEI pubblicò una Nota pastorale a vent’anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium dal titolo “Il rinnovamento liturgico in Italia”. Fin dalle prime pagine sotto il titoletto “Una presidenza da esercitare” si trova scritto: “Per coloro, che in virtù dell’Ordine sacro sono chiamati ad esercitare il ministero della presidenza, risuona tuttora l’ammonimento dell’Apostolo: “Chi presiede lo faccia con diligenza” (Rm 12, 8). Da ciò deriva loro il dovere di apprendere e di affinare l’arte di presiedere le assemblee liturgiche al fine di renderle vere assemblee celebranti, attivamente partecipi e consapevoli del mistero che si compie (PO 5).

E più avanti con un altro titoletto “Un servizio da prestare” continua: “Attenzione particolare dovrà essere dedicata a quei fedeli che collaborano all’animazione e al servizio delle assemblee. Consapevoli di svolgere un vero ministero liturgico (SC 29), è necessario che essi prestino la loro opera con competenza e con interiore adesione a ciò che fanno. Nell’esercizio del loro ministero essi sono ‘segni’ della presenza del Signore in mezzo al suo popolo. Con la molteplicità e nell’armonia dei loro servizio - dalla guida del canto alla lettura, alla preparazione della mensa, dalla presentazione dei doni alla distribuzione dell’Eucaristia - essi esprimono efficacemente l’unità di fede e di carità che deve caratterizzare la comunità ecclesiale, a sua volta segno e sacramento del mistico corpo di Cristo”. Un’armonia di competenze e collaborazioni diverse, una ministerialità diffusa che dice la bellezza della comunità e della sua liturgia.

L’arte del celebrare dunque interessa tutti e soprattutto chi esercita un ufficio, un compito, un ministero. Quindi riguarda noi che per vocazione, siamo tra i primi protagonisti di una buona celebrazione, che si compie con un’arte che le è propria.

Certamente Dio non ha bisogno della nostra bellezza ma la vuole per noi, come ci ricorda il testo di un Prefazio che ci invita ad avere la consapevolezza che "Tu, Signore, non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva".

In occasione del Congresso Eucaristico Nazionale di Milano il cardinale Carlo Maria Martini nella sua lettera “Attirerò tutti a me” del 1982 affermava: “L’esperienza insegna che dietro un imperfetto celebrare c’è un vivere anch’esso imperfetto. Se l’Eucaristia è il centro della comunità, essa ne diventa anche un po’ lo specchio. C’è dunque una ragione profonda, tratta dal dinamismo stesso della celebrazione, che ci invita a leggere in trasparenza liturgia e vita”. Potremmo dire cioè di una comunità: mostrami come celebri e ti dirò chi sei; dalla tua Eucaristia domenicale riconosciamo la tua bellezza.

Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium afferma: “La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre festeggiare. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi” (n. 24). Evangelizzazione, carità e liturgia: insieme possono fare il cristiano e il mondo in cui vive più bello.

                                                                                                                                     don Franco Bartolino

 

Sorelle carissime,

in questa splendida cornice celebrativa a conclusione di questo giorno in cui abbiamo fatto memoria del 92° anniversario di fondazione della vostra Famiglia Religiosa, dono del Signore che risplende nella Chiesa e vanto della nostra Chiesa diocesana, desidero condividere con voi una breve riflessione sulla fraternità, prendendo spunto dalla terza Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” firmata lo scorso 3 ottobre ad Assisi e che propone una terapia per la fraternità in un mondo malato e non solo di Covid.

            Il testo di riferimento è quello del Buon Samaritano e che ha come sfondo la lode a Dio e alle opere della natura tutta, in cui è riflessa l'immagine e la mano del suo Creatore. Papa Francesco introduce l’Enciclica con queste parole: «Fratelli tutti», scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo.

            Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. 

            Questo Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia, che mi ha ispirato a scrivere l’Enciclica Laudato si’, nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova Enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale. Infatti san Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».

            Papa Francesco con questa Enciclica, tocca le ferite della povertà, della devastazione delle guerre e delle afflizioni di tanti fratelli e sorelle in diverse parti del mondo a causa della corsa agli armamenti, delle ingiustizie sociali, della corruzione, delle disuguaglianze, del degrado morale, del terrorismo, della discriminazione, dell’estremismo e di tanti altri motivi.

            “Fratelli tutti” ha come unico obiettivo la pace, la pace interiore che scaturisce dal senso di fraternità con gli altri, che abbraccia e prega per i fratelli invisibili vittime delle peripezie migratorie annegati nel Mediterraneo, che lui stesso chiamerà, mare del meticciato; ed esorta ad abbracciare i conflitti, abbattere i muri, immaginare e costruire la pace.  Ma dove si impara la fraternità? Dove si apprende la pace? Come un semplice maestro che si rivolge ai suoi alunni, Papa Francesco in Amoris Lætitia scrive: «La relazione tra i fratelli si approfondisce con il passare del tempo, e il legame di fraternità si forma in famiglia tra i figli, e se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace».

            Nasce così una pedagogia del quotidiano, in cui la fraternità non si dissocia dal Vangelo: diviene lotta per la giustizia sociale e cura del pianeta. Un desiderio per un mondo “con” e “dopo” il coronavirus capace di viaggiare sulla base della fraternità, della solidarietà e dell’ecologia integrale.

            Uscire da sé verso il fratello è un’assoluta priorità sottolineata da Papa Francesco anche nella Gaudete et exultate: Gesù stesso si è fatto periferia. Per questo, se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo e Lui sarà già lì.

 Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno. Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace. Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre. Il nostro cuore si apra a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen.

                                                                                                               don Franco Bartolino

Ti rendo grazie Signore con tutto il cuore …Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà. Signore la tua bontà dura per sempre. (dal salmo 138)

       Carissime sorelle,

con le parole del salmo 138 eleviamo al Signore il nostro inno di ringraziamento  per questi 92 anni della nostra Congregazione , dono di grazia per la Chiesa, dono di grazia per ciascuna di noi, dono di grazia per i “ piccoli, gli ultimi, gli afflitti “.

      Nella solennità di Tutti i Santi”, abbiamo ascoltato il vangelo delle Beatitudini. Come i discepoli ci avviciniamo al Maestro che ci insegna la strada della felicità, della gioia eterna…la strada delle Beatitudini…una strada poco frequentata, intrapresa dai più audaci, da chi non si accontenta di vivere una vita mediocre, egoistica, da chi segue le orme del Maestro…di Gesù, povero , mite e umile di cuore.

      Anche M.Ilia, la sera di quel 3 novembre 1928, si è incamminata per questa strada, spinta dal quel fuoco che le ardeva nel cuore…”Io voglio vivere, vivere e amare” (da Lampade viventi), e ancora…”Tu sei l’Amore poco amato, l’Amore poco conosciuto […] Venga, venga il Tuo regno d’amore. (dal Diario spirituale).

      In queste sue parole cogliamo la consegna fiduciosa della creatura al Creatore, la gioia profonda, l’audacia, lo zelo per il Regno. Seguiamo le sue orme, per rispondere alle attese del Signore e dei fratelli tutti.

      In questo tempo di sofferenza, di tensione, di incertezze generate dalla pandemia lei viene a ricordarci il nostro “oggi”: vegliare all’ombra dei tabernacoli, diventare eucarestia, farsi pane spezzato, farsi prossimo, donare una “parola d’amore”, diffondere il bene e il sorriso.

Con la Vergine Maria cantiamo il nostro Magnificat, per le meraviglie compiute dall’Onnipotente in noi e attraverso di noi.

Vi abbraccio, il Signore ci benedica, sr Patrizia

 

Martedì 3 novembre, 92° anniversario di fondazione della Congregazione (1928-2020), celebreremo i vespri solenni alle ore 18,00 nella nostra chiesa di S. Croce. Il momento di preghiera sarà presieduto da don Franco Bartolino e trasmessa la diretta su facebook per quanti non possono essere in presenza con noi.  

Questa mattina per ovvie ragioni, abbiamo preferito non andare al cimitero per celebrare l’Eucarestia per i nostri cari defunti. Allora ho pensato di condividere con voi un tema mai trattato: il cimitero nella città.

C’è un luogo nella città dove ci si muove solo a piedi, perciò si cammina adagio, si ha tempo per guardarsi intorno, leggere qualche scritta, notare qualche fiore, commentare la bellezza o la stranezza di un monumento. Lo sguardo si ferma anche sulle tombe dimenticate e si interroga sulle vicende umane, la loro precarietà e gli interrogativi sul senso della vita.

C’è un luogo nella città dove il dialogo si può fare anche senza parlare. Il ricordo permette di ripercorrere vicende, rapporti, speranze condivise, dispiaceri, ferite. Il bene fatto, il bene ricevuto, il male fatto, il male subito entrano nel dialogo senza parole.

C’è un luogo nella città dove non si può evitare il pensiero della morte, dell’inevitabile passaggio. Alcuni evitano di pensarci seriamente altri invece, dicono una preghiera, professano una speranza, avvertono una presenza amica.

C’è un luogo nella città dove tutti stanno insieme, buoni e cattivi, gente che ha fatto del bene e gente che ha rovinato la vita di molti, persone illustri e persone sconosciute.

I cimiteri nella città forse talvolta sono una presenza ingombrante e si pensa che sarebbe meglio se non ci fossero. Alcuni pensano che sarebbe meglio disperdere le ceneri in qualche luogo e dimenticare tutto, dimenticare persino la morte e vivere come se non ci fosse. La presenza dei resti dei morti che si raccolgono in un luogo comune, forse invita la città a riconoscere una vocazione alla comunità: non siamo fatti per la solitudine ma nasciamo in una comunità e andiamo a finire in uno spazio comunitario.

 Siamo fatti per stare insieme, da morti, e perciò anche da vivi. Questo suggerisce di contrastare la tendenza alla gestione privatistica della morte, alle ceneri dispersi chi sa dove, alle ceneri conservate negli spazi del privato e perciò sottratti alla preghiera. La presenza dei cimiteri e del loro messaggio nella città può aiutare la città a coltivare soprattutto saggezza.

La presenza dei cimiteri tiene viva la domanda sul senso del tutto e invoca una risposta, e il Vangelo risponde con l’annuncio della speranza, con la promessa di un approdo che sconfigge la morte e fa risplendere la beatitudine. Per questo la città laboriosa, creativa e proiettata verso il futuro può riconoscere nei cimiteri, un invito a essere città saggia, paziente, capace di coltivare pensieri di speranza e di resistere alla troppo facile tentazione dell’esasperata ricerca del successo precario, della ricchezza che il tempo consuma, della potenza con i piedi di argilla.

«Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire ciò che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in quella luce che tutto investe e penetra, non piangeresti. Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio, dalla sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto. Ci siamo visti e amati nel tempo: ma tutto era allora fugace e limitato. Ora vivo nella serena speranza e nella gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi. Tu pensami così. Nelle tue battaglia, orièntati a questa meravigliosa casa dove non esiste la morte e dove ci disseteremo insieme, nell’anelito più puro e più intenso, alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore. Non piangere, se veramente mi ami».  (S. Agostino)

                                                                                                                                don Franco Bartolino

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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