Tra le molte ricchezze della nostra meravigliosa Italia, ce ne sono alcune che non perderanno mai il loro fascino, neppure se dovessero essere colpite dai peggiori dazi imposti dai più disparati tiranni dell'economia mondiale, perché la loro ricchezza non vengono minimamente intaccate dalla logica del denaro. Mi riferisco a quei luoghi di antica tradizione storica, religiosa e culturale che a ragione possiamo definire “oasi dello Spirito”: quei luoghi, cioè, dove si sperimenta un'energia particolare, soprattutto alla presenza di grandi figure di mistici della contemplazione. È sufficiente pensare ai luoghi che girano intorno alla figura di Francesco e Chiara d'Assisi o di Benedetto da Norcia, solo per citare tre santi di quella regione, l'Umbria. Luoghi che t'immergono in una dimensione pacifica dalla quale non vorresti andartene più. Ti verrebbe voglia di piantare una tenda e fermarti lì, a contemplare le dolcezze della vita spirituale, patrimonio di un'umanità che davvero non ha prezzo.

            Immaginatevi cosa avrebbe fatto Pietro, se invece di trovarsi sull'arido Monte Tabor si fosse trovato nel bosco del “crudo sasso intra Tevero e Arno”, La Verna, dove Francesco, per dirla sempre con Dante, “da Cristo prese l'ultimo sigillo”. Altro che tre capanne: avrebbe costruito un albergo con tutte le comodità, pur di non andarsene più via da quell'istante di contemplazione! E dire che, non è che fossero partiti con l'intenzione di fare chissà quale esperienza spirituale: lui e i suoi due compagni avranno pensato a uno di quegli spazi di solitudine e preghiera che il Maestro era solito ritagliarsi.

            Infatti, la loro contemplazione si trasforma quasi subito in una profonda dormita ma alla fine lo splendore dell'esperienza di fede che stanno per vivere prende il sopravvento anche sul loro sonno e riescono così a vedere il Maestro in tutta la sua bellezza. La vita di fede ti riserva anche questi momenti di gioia e di entusiasmo, momenti in cui tutto appare bello, per cui ascolti e segui volentieri il Maestro anche se lui parla in maniera esplicita del suo “esodo che stava per compiersi a Gerusalemme”, ovvero della sua morte: non importa, è tutto bellissimo e tutto chiaro! Anche se costa, abbiamo l'entusiasmo di seguire Gesù!

            L'evangelista Luca, però, ci riporta rapidamente a un sano realismo, e puntualizza che Pietro, preso dall'entusiasmo di voler fare tre capanne, “non sapeva quello che diceva” e infatti, la luce che avevamo sperimentato in quei momenti è già scomparsa per lasciare posto a una nube che li avvolge con la sua ombra.  Non facciamo in tempo a provare una gioia che subito arriva il buio, la disperazione, lo smarrimento: forse è proprio il segno che dobbiamo restare sempre con i piedi ben piantati per terra; forse è il modo che Dio ha per farci comprendere che lui va seguito e amato sempre, non solo nei momenti di entusiasmo. Però appena entriamo nello smarrimento ci accorgiamo della sua voce forte e rassicurante: “Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo”.

            Che bello, se tutta la nostra fede fosse un mattino di Pasqua, limpido e sereno, splendente come la Trasfigurazione, che della Pasqua è proprio l'anticipo: invece, sappiamo bene che la tomba lasciata vuota dal Risorto, è sempre e comunque a due passi dal Calvario, da quel Venerdì Santo di nubi e di tenebre che non ci abbandona mai. Abbiamo perlomeno una certezza: che la nebbia ci avvolge perché sopra di noi c'è il sole, e che la croce piantata sul Calvario ad aspettarci è solamente un momento del viaggio, una sosta come scriveva il grande vescovo Tonino Bello «La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria" perché il Calvario, dove essa è piantata non è zona residenziale e il terreno di questa collina dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio».

            Se abbiamo la costanza di salire fino in cima, fino alla croce, in mezzo al buio delle nubi, riusciremo a sentire una Voce che ci guiderà, facendoci scendere dall'altro lato della montagna, dove troveremo una tomba lasciata finalmente vuota.

                                                                                                                             don Franco Bartolino

«Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo».

Nella prima domenica di Quaresima ogni anno la liturgia ci propone il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Quest’anno nella versione secondo Luca che rappresenta in un’unica scena, delle proposte diaboliche rivolte a Gesù come se fossero un momento iniziale, separato dal resto della vita.

 Di fatto queste tentazioni hanno accompagnato Gesù lungo tutta la sua esistenza; anche durante il suo ministero molte persone gli hanno consigliato di fare in modo diverso, fino all’ultima tentazione di Cristo, quella sulla croce, quando qualcuno gli dice: «Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo!».

     Il brano del Vangelo presenta tre tentazioni in cui Gesù viene invitato a dominare, a piegare cioè a proprio vantaggio le cose, gli uomini e Dio. 

In questo brevissimo schema sono comprese tutte le nostre tentazioni. Chi non è tentato di mettere le mani sulle cose per la gratificazione che viene dal possesso e soprattutto per il prestigio che esso procura di fronte agli altri? 

E chi non è tentato di dominare gli altri, magari anche soltanto una persona, quella che gli vive accanto? E per quanto riguarda la tentazione di mettere le mani su Dio, sarebbe fin troppo facile dimostrare quanto sia diffusa. Molte crisi di fede sono per lo più legate al fatto che Dio non si dimostra così utile e funzionale come si vorrebbe. E quando Dio non serve, si è subito pronti a cambiarlo.

C’è invece una cosa che il tentatore non vuole e non può offrire. Nelle sue parole non c’è traccia di amore. C’è il possesso, ma senza amore. C’è anche Dio, ma è un Dio che non conosce la dimensione dell’amore.

È solo l’amore che può dare senso, bellezza e pienezza alla vita. Ci sono persone che hanno beni e amori, ma non sanno che cosa sia il bene più grande, quello di sentirsi amati e di poter amare. Ci è di conforto pensare che nella tentazione non siamo mai soli. C’è il tentatore, ma c’è anche Cristo.

Il tentatore è abile, ma Cristo è vincente. Egli, che è stato tentato, non è al di fuori, ma è dentro le nostre tentazioni per attraversarle ora con noi. Le prove possono diventare allora utili: da ogni prova superata, infatti, deriva un miglioramento della vita.

Guidati dallo Spirito come Gesù, percorriamo il cammino della Quaresima col desiderio di migliorare, di superare il male che c’è in noi, di scegliere – con chiarezza e decisione – di seguire Gesù, di compiere il bene, di aderire a Lui con tutto il cuore.

                                                                                                                                              sr Annafranca Romano

In tempi così difficili come questi che stiamo vivendo, circondati di tante incertezze, l’antifona introduttiva della Liturgia di oggi scende come balsamo sulle nostre paure, angosce, domande, inquietudini:

«Il Signore è il mio sostegno, mi ha portato al largo, mi ha liberato perché mi vuol bene» (Cf. Sal 17,19-20).

Come pellegrini di speranza siamo chiamati, in ogni tempo, a rendere viva la nostra fede nel Signore Risorto che mai ci ha lasciato i balia delle tempeste di questo mondo, ma con noi attraversa la Storia e i suoi cambiamenti politici, economici, sociali, naturali. Con gli occhi fissi su di Lui (cfr. 1Cor 15,54-58) sappiamo ancora una volta dare testimonianza che la morte è soltanto un passaggio necessario, non terrificante, per coloro che hanno vissuto nella costruzione del bene, nell’edificazione del Regno del Signore: ‘già ma non ancora’ è la realtà del cristiano in questo mondo edonista e diviso.

E la Chiesa, come madre, ci spinge a camminare insieme, mai da soli, mai come ciechi, mai come giudici, semplicemente e umilmente come fratelli e sorelle di ogni uomo e donna di buona volontà, coltivatori del frutto buono, sempre pronti a ravvedere l’incoerenza del nostro vivere e riprendere il cammino:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: "Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio", mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6,39-45).

Donaci tanta libertà di spirito Signore Gesù, per affondare le radici del nostro cuore in quel Bene Eterno, capace di accumulare i tesori della Tua sapienza, per condividere con tutti i nostri fratelli e sorelle le tue opere di giustizia e di pace. Che il Tuo Spirito ci accompagni nel cammino quaresimale che stiamo per iniziare, affinché possiamo discernere e diffondere in noi e in torno a noi i frutti della Tua Bontà. Amen.

                                                                                                          suor Maria Aparecida Da Silva

In questi giorni, sentiamo i mezzi di comunicazione sociale fare memoria di quei momenti drammatici vissuti cinque anni fa con lo scoppio della pandemia. E tutti ricordiamo come, in quei giorni la preoccupazione principale era quella di risultare “negativi” rispetto all'infezione virale. Perché lo sappiamo bene: risultare “positivi” a un test virale significa in realtà trovarsi in una situazione negativa di salute. C'è tuttavia qualcosa di virale rispetto a cui risultare ed essere positivi non può che portare benefici a noi e a tutti coloro che “contagiamo” ed è quel virus immesso nell'umanità oltre 2000 anni fa dalle parole di Gesù di Nazareth, che invitava a vivere positivamente quello che fino ad allora era stato vissuto in negativo. Mi riferisco, per quanto riguarda la tradizione biblica, a quella che tutti i moralisti definiscono “la regola d'oro” della morale e della pacifica convivenza tra gli uomini e che nell'Antico Testamento troviamo riportata per la prima volta nel libro di Tobia: “Non fare agli altri quello che non vuoi venga fatto a te”. Come principio, non fa una piega: dal momento che nessuno di noi vuole che ci sia fatto del male, siamo invitati prima di tutto noi a non fare del male agli altri; e se tutti quanti, nel mondo, applicassimo questo principio morale, stiamo pur certi che non ci sarebbe alcun genere di conflitto.

            Ma, a quanto pare, questo a Gesù non basta! Perché ognuno di noi abbia la possibilità di sviluppare gli anticorpi contro l'odio, è necessario che si faccia “contagiare” e quindi risultare positivo dal virus più potente e più piacevole che ci sia: il virus dell'amore. Ma dal punto di vista delle nostre relazioni con gli altri, diventare positivi al virus dell'amore cambia completamente la prospettiva: perché “fate agli uomini ciò che volete che essi facciano a voi” può veramente trasformare la vita. “Non fare ciò che non vuoi sia fatto a te” è una bellissima cosa, ma ti mette comunque in guardia da tutto e da tutti, e soprattutto ti mette in testa che una volta che tu non dai fastidio agli altri, nemmeno gli altri lo faranno e quindi sei a posto: per cui, vivi e lascia vivere.

            Ma purtroppo non è così, perché qualcuno che fa del male agli altri, anche a quelli che non gli han fatto nulla, c'è sempre, c'è sempre stato e sempre ci sarà; occorre essere positivi, lasciarsi contagiare dal virus dell'amore, e iniziare a fare quei piccoli grandi passi che possono cambiare il mondo. Non è sufficiente, infatti, evitare di fare del male per sentirci a posto, come quando andiamo a confessarci dicendo “non faccio nulla di male agli altri”, perché ricordiamoci bene che uno dei peccati maggiori, e che confessiamo all'inizio di ogni Eucarestia insieme a “pensieri”, “parole” e “opere” sono proprio le “omissioni”, cioè quello che potevamo fare di bene e non abbiamo fatto. Un ideale meraviglioso, non c'è che dire: ma come fare per realizzarlo? Nessuno di noi è perfetto, né tanto meno così santo da riuscire a vivere in questo mondo, rendendo positiva una società che vive di cose negative.

            Il segreto sta tutto nella frase centrale del Vangelo di oggi, che un'altra volta viene a stravolgere il pensiero dell'Antico Testamento. Se nel Libro del Levitico il cosiddetto “Codice di Santità”, iniziava con le parole “Siate santi come io, il Signore vostro Dio sono santo”, nel Vangelo di Luca Gesù ci presenta un altro Codice, il Codice dell'Amore, che inizia con le parole ascoltate oggi: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro”. Ed essere misericordiosi è tutt'altro che essere santi e perfetti: tant'è vero che essere santi significa essere come “il vostro Dio”, mentre essere misericordiosi significa essere “come il vostro Padre”.

            Non mi stancherò mai di ripeterlo: Dio non ci vuole santi e perfetti, Dio ci vuole misericordiosi, ovvero innamorati dell'amore con lo stesso amore con cui una madre ama il proprio figlio e vivere da innamorati dell'amore è possibile anche senza aver fatto o ricevuto alcun regalo di san Valentino nel mese dedicato agli innamorati: è sufficiente lasciarsi contagiare, e risultare sempre positivi, ovvero inguaribilmente affetti dal virus dell'amore anche perché sbagliare per aver cercato di amare è uno sbaglio che auguro davvero a tutti di sperimentare.

                                                                                                                           don Franco Bartolino

Le beatitudini di Luca sono diverse da quelle di Matteo: non perché siano quattro invece che otto - in realtà sono otto anche quelle proclamate dal Gesù di Luca - ma perché il numero otto si compone di quattro beatitudini e di quattro “maledizioni”, per restare sempre nel vocabolario usato da Geremia. E questo perché Luca è molto più realista: sa benissimo che il mondo non è un luogo ideale dove si può vivere in pace sperando - come forse fa Matteo con le sue beatitudini - in un mondo futuro decisamente migliore. La vita è qui, è adesso ed è proprio “ora” che voi, che avete fame e sete venite saziati e dissetati e soprattutto, beati siete “voi” miei discepoli, dice ancora Luca, voi che mi state ascoltando, voi che io ho scelto perché ascoltiate la mia parola e la mettiate in pratica seguendomi ovunque io vada.

            Matteo aveva scelto di inaugurare, con il messaggio delle Beatitudini, il Discorso della Montagna, il primo dei cinque grandi discorsi che Gesù, come un nuovo Mosè, promulga dal monte, quasi fosse una nuova legge da seguire. Nel Vangelo di Luca, nulla di tutto questo: Gesù non è uno che insegna dall'alto di una cattedra, anzi, è uno che per parlare ai suoi discepoli “alza gli occhi” verso di loro perché loro sono collocati in una posizione pari alla sua. E questo la dice lunga, su un Gesù che - sempre in questo meraviglioso terzo Vangelo si farà servo più che maestro, padre accogliente più che giudice giusto, buon samaritano più che sacerdote.

            In buona sostanza, cos'hanno di particolare per dirsi “beati” i suoi discepoli? Hanno dalla loro parte un Dio che si prende cura di loro, per cui non devono aver paura di vivere nella povertà, nella fame, nella sete o in situazione di persecuzione, perché qualcuno che li sazi, li disseti, li protegga e alla fine consegni loro il Regno di Dio lo avranno certamente, anzi, è già in mezzo a loro. E non devono temere la persecuzione perché la stessa cosa è capitata prima di loro ai profeti, eppure ancora oggi li leggono nelle loro sinagoghe, perché rimangono vivi per sempre.

            Qualcuno che non è più vivo c'è; ed è qualcuno che non è più vivo pur rimanendo in vita. È qualcuno che muore vivendo, perché è morto dentro, e sul fatto che sia morto non ci sono dubbi; perché quel “guai” di Luca ripetuto quattro volte, non è affatto una minaccia per ciò che capiterà a chi è ricco, sazio, gaudente e benedetto dagli uomini.

            Ti senti e sei veramente ricco? Consolati pure, ma sappi che sei morto. Ti senti e sei veramente sazio? Probabilmente ti manca il cibo della vita. Ti senti e sei veramente sorridente? Dentro di voi siete una valle di lacrime. E non importa se ora non ve ne accorgete perché “tutti dicono bene di voi”, perché tutti vi invidiano per quello che fate o che avete, perché tutti dicono che siete “meravigliosi”, perché tutti vi mettono una sfilza di like sui post che pubblicate in quantità industriale: sarà la storia a farvi pagare il conto infatti siete già morti dentro, perché - come ci ha detto Geremia - avete confidato negli uomini allontanando il vostro cuore dal Signore.

            Che soddisfazione, sentire il Gesù di Luca esordire nei suoi discorsi con queste parole perché buoni e cattivi, giusti e malvagi, peccatori e illibati, alla fine, in questa vita lo siamo tutti, senza possibilità di scelta. Ma visto che, tra essere poveri-felici e ricchi-maledetti, ci è ancora dato un margine di scelta, allora diamoci da fare!

Su di noi

Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
80124 Bagnoli, Napoli
[+39] 0815702809

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