Nel brano evangelico della VI Domenica di Pasqua, Gesù prepara i discepoli al giorno in cui farà ritorno alla casa del Padre e non sarà più accanto a loro come lo era stato fino a quel momento. Sono stati con Lui per tre anni, lo hanno seguito durante la predicazione e i miracoli, hanno sperimentato il suo amore, hanno imparato a fidarsi e affidarsi a Lui, fino ad arrivare a dire, come Pietro, “dove andremo Signore? Solo Tu hai Parole di Vita Eterna”. Ora Gesù li avverte che è giunto il momento in cui andrà via, ma non li lascerà soli perché chiederà al Padre di concedere loro un dono nuovo: un altro Paràclito, lo Spirito Santo, che scenderà su di loro e rimarrà con loro per sempre.

La verità dell’Amore di Gesù sarà confermata nei loro cuori e si renderanno conto di essere uniti nel suo Amore. Questa pienezza si realizzerà nella misura in cui vivranno nell’amore e nella fedeltà assoluta ai suoi comandamenti. Gesù ricorda, infatti, “se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.

 Questo è il comandamento nuovo: che vi amiate come io vi ho amati. L’unico comandamento possibile è partecipare, accogliendo l’amore che Dio ha per noi. Ma il comandamento è l’amore del Figlio, è il Figlio. L’accoglienza è per l’uomo una grande attività, richiede da parte sua uno sforzo totale per mettersi nella condizione di ricevere il dono senza dover fare qualcosa in prima persona.

 Quando vogliamo fare qualcosa da soli non siamo in grado di accogliere, perché accogliere significa ritirarsi per dare spazio all’altro e accogliere la sua azione. Per questo l’amore accolto diventa il nostro amore per l’altro, perché l’amore è fatto così: se tu lo accogli sarà lui stesso ad amare e saprà declinare l’amore nelle situazioni concrete.

 L’amore saprà sacrificarsi. Quando noi accogliamo il dono del Padre nel concreto della vita, questo amore troverà la strada e questa concretezza è radicata nei comandamenti, una sorta di interpretazione dell’amore.

Chi si lascia amare da Lui, ama Lui ed osserva il suo “comandamento nuovo”. È la novità dell’esperienza cristiana, che Paolo definisce “la vita secondo lo Spirito”: è lo Spirito di Cristo risorto che muove il credente perché ami come Lui ama.

Oggi come allora, estendendo la sua promessa di amore ad ogni uomo, Gesù promette di non lasciarci soli e di mandare il suo spirito di verità, capace di consolare questa nostra umanità ferita e desiderosa di essere amata.

Il discepolo di Cristo non è quindi obbligato a portare pesi o gioghi opprimenti, ma accetta l’invito a inserirsi in una comunione di vita e in una logica di amore. Il cristiano vero sa di essere amato dal Padre e il suo modo di amare è spontaneo e gratuito, a imitazione dello stile di amore di Dio nei suoi confronti.

                                                                                                          sr Annafranca Romano

Cos’è la vita cristiana, come si muovono i cristiani, cosa sono nel mondo, ce lo dice questo tempo di Pasqua, ce lo conferma questa V Domenica. Uomini e donne mosse dallo Spirito, che seguono non un cammino, ma Il Cammino, non una strada ma una Persona che si fa strada, che è Cammino: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Uomini e donne quindi, che non camminano raminghi nel mondo, come uno che non sa dove va, magari perché non sa neanche da dove viene; i cristiani sanno di essere figli di un unico Padre; sanno di vivere nel mondo ma di non essere del mondo perché diretti alla Casa del Padre, lì dove troveranno le molte dimore (cfr. Gv 14,1-12). Lì ci ritroveremo, lì  riconosceremo il Volto di Colui nel quale siamo stati fatti.

I cristiani, uomini e donne che costituiscono Chiesa, che sono chiesa: quell’edificio spirituale dove ognuno è pietra viva edificati nell’unica Pietra Angolare: Cristo Gesù. Uomini e donne che imparano insieme a prendersi cura l’uno dell’altro, e tutti insieme, dei più bisognosi, dei più poveri, degli ultimi delle società, di quelli che il mondo non tiene in conto (cfr. At 6,1-7). Uomini e donne la cui forza è la preghiera e la cui vocazione è l’annuncio dell’Unica Buona notizia che porterà il mondo alla Vita e alla Verità: Cristo Gesù! «E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede».

E’ nella fede in Gesù, Via, Verità e Vita che i cristiani sono nel mondo, nonostante la loro povertà, il loro dissenso, la loro differenza, la loro fatica… vano avanti perché nella loro debolezza sono costituiti “in verità” in quella conoscenza rivelativa che si sviluppa nel tempo per opera dello Spirito Santo, il quale porterà tutti alla verità tutta intera, come ha detto Gesù.

Quindi, l’identità cristiana si rivela non tanto perché fanno qualcosa, ma perché per quello che sono e  sono chiamati ad essere,  le cui opere rivelano quello che sono In verità, in verità io vi dico: «Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Ci basterebbe fare un giro veloce nel mondo con gli occhi veritieri per sapere dove sono e cosa fanno, mentre il mondo ancora continua ad spingerli fuori, perché si crede non bisognosi di loro. Intanto, uniti nella fede si avvicinano al «Signore pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa (cfr. 1Pt 2,4-9).

                                                                                                                          suor Maria Aparecida

La visione centrale di questa domenica è il Buon Pastore che dà la propria vita per le sue pecore, letteralmente è il Pastore Bello. Gesù, per spiegare le grandi verità di Dio, usa le semplici immagini del suo tempo. Tutti noi abbiamo un pastore, qualcuno che ci guida: tuttavia scegliamocelo bene! Subito ci viene da rispondere: io non ho pastori, me la cavo da solo, sono libero e adulto e basto a me stesso!

            Viviamo in un mondo in cui per essere felici basta poco e sembra che tutti ne conoscano la via: bellezza, fisicità, intelligenza, salute, lavoro, tanti soldi. Gesù invece pretende di essere l'unico in grado di colmare il nostro cuore! A chi sto veramente a cuore? Istintivamente cerchiamo qualcuno che sia disposto ad accoglierci, a valorizzarci, ad amarci al di là delle nostre inevitabili povertà ed ecco la novità sconcertante: l'inattesa rivelazione: a Dio io sto a cuore. Il Pastore Bello chiama le sue pecore, ciascuna per nome e pertanto non sono l'anonimato del gregge, ma nella il mio nome viene pronunciato come nessun altro sa fare.

            C'è un particolare di questo testo che attira sempre la mia attenzione: il Pastore Bello ripete per due volte che conduce le pecore "fuori" dal recinto. Istintivamente mi verrebbe da pensare che il Pastore voglia soprattutto chiudere al sicuro le sue pecore dentro un recinto ben protetto. Invece no! Gesù ci conduce "fuori", fuori dalla chiusura del peccato; fuori dai pettegolezzi e dalle piccolezze dei nostri giudizi; fuori dai nostri egoismi e dalle nostre presunzioni; fuori da una religiosità fatta di pratiche sterili. Gesù ci conduce "fuori" e si mette davanti a noi e questo ci fa capire che l'esperienza cristiana autentica non si fonda dentro i recinti dell'osservanza, ma su un cammino serio e sereno sui passi di Gesù.

            Il cristianesimo è troppo spesso ridotto ad un ricettario di comportamenti morali e la stragrande maggioranza delle persone vivono la propria fede come una «cosa da fare», come un adempimento di precetti. La Parola di oggi dice una cosa ben diversa: il cristiano è chi segue Gesù, chi sceglie Lui come suo unico Pastore! La fede allora non è semplicemente fare o non fare qualcosa, rispettare una regola ma è “incontrare Qualcuno” che ti ribalta la vita e te la riempie di gioia!

           

                                                                                           don Franco Bartolino

Chi non ha mai sognato di essere uno dei due discepoli di Emmaus? Chi non ha mai immaginato di vivere quel percorso di 11 chilometri con Gesù al fianco? Nel Vangelo mi accorgo che solamente di uno, Cleopa ne conosciamo l'identità e allora ognuno prenda le sembianze dell'altro. Emmaus dista da Gerusalemme due ore di cammino, due ore trascorse a parlare di quel sogno in cui avevano tanto sperato, un sogno naufragato nel sangue.  Gesù non toglie la tristezza ai discepoli e neppure li consola; come prima cosa li ascolta. Essere amici vuol dire semplicemente stare, accompagnare, essere presenti nella difficoltà, ma soprattutto ascoltare.

            L'amore è ascolto, è condivisione della vita e del cuore dell’altro; Gesù si affianca ai discepoli e li ascolta e non fa altro. Loro però non lo riconoscono perché sono troppo presi dai loro problemi, dal loro dolore, dalla loro delusione e dalla loro sofferenza. Ne conosco di persone così: fermi al venerdì santo, devoti alla croce, ma incapaci di accogliere la gioia della Pasqua. Intendiamoci: è emozionante fissare lo sguardo su Dio che pende dalla croce, ma se lì si ferma la nostra fede, siamo solo degli illusi. Cleopa e il compagno sono quasi infastiditi dall’ospite sconosciuto e intanto Gesù li ascolta sulla propria crocifissione; ma Lui è già oltre!  

            Cosa fa Gesù con i due discepoli amareggiati? Da un senso più profondo, più alto, un senso a ciò che sembra non averlo. Il fatto di aver trovato un motivo, una ragione a ciò che è successo, cambia il loro stato d'animo. Se prima se ne andavano da Gerusalemme tristi e delusi adesso ritornano a Gerusalemme pieni di energia e di fuoco. La storia non cambia ma se ne possiamo cambiarne il senso, allora “cambiamola”.

            È bello scoprire che proprio quando camminiamo con un fratello, in un racconto reciproco di gioie e di dolori, proprio allora si affianca un Terzo, che ancora non riconosciamo. Sapremo allora anche noi riconoscere Gesù nei chilometri di questa nostra vita? Sapremo anche noi raccogliere la sua presenza per poi raccontarla? Certamente nel nostro cammino ci affiancherà e attraverseremo senza paura la nostra notte .... e sarà di certo subìto l'aurora!

don Franco Bartolino

I Vangeli di queste domeniche, si pongono una grande domanda: come possiamo incontrare il Risorto? Giovanni racconta che Gesù apparve in mezzo ai suoi entrando a porte chiuse. I discepoli, nonostante la notizia sconvolgente della resurrezione, avevano paura perché il mandato di cattura era per tutto il gruppo. Ed è bello vedere che le porte chiuse non fermano il Signore, l’incredulità non arresta il desiderio di Dio di incontrarci e le nostre chiusure non fermano il Risorto perché il Suo amore è più forte delle nostre paure e l’abbandonato ritorna da coloro che sanno solo tradire. Immagino si aspettassero un rimprovero, in fondo lo avevano abbandonato, tradito ma Gesù non porta rancore: annuncia la pace e dona lo Spirito.

            Le prime parole del Risorto infatti sono un dono di felicità. Il termine ebraico “Shalom”, che noi traduciamo semplicisticamente con “Pace”, esprime tutto ciò che comporta la felicità. Non è un invito o un augurio, ma è un dono: la pace è qui, è in voi, è iniziata. Il Risorto dona tutto quello che concorre alla felicità dell’uomo “E disse loro: «Ricevete Spirito Santo”.

            Non è affatto semplice credere alla risurrezione e per questo abbiamo cinquanta giorni per riflettere e in questo cammino abbiamo un compagno di viaggio: l’apostolo Tommaso. Ci sentiamo vicini a lui in una fede dubbiosa dimenticando che il dubbio è il lubrificante della fede; ma soprattutto Tommaso non crede ai suoi amici semplicemente perché non erano credibili. Come poteva credere a coloro che erano scappati sotto la croce, che avevano lasciato il Maestro solo nel momento dell’angoscia; e come poteva credere a Pietro che lo aveva rinegato per ben tre volte!

            Tommaso, però, non abbandona il gruppo e dopo otto giorni è ancora la e fa bene perché il Risorto torna solo per lui e questo incontro avviene dentro la comunità riunita e mediocre che ha dovuto fare i conti anche con il tradimento. Ed è confortante sapere che l’incontro con il Risorto non avviene in una comunità ideale e perfetta, ma in quella in cui vivi, quella con la quale il Risorto ti ha chiamato a camminare.

            Gesù non concede a Tommaso apparizioni particolari, ma gli si presenta “Otto giorni dopo”, cioè quando la comunità si riunisce di nuovo nella celebrazione dell’Eucaristia e dice a Tommaso di mettere il suo dito nei fori delle mani e nel fianco, ma Tommaso si guarda bene dal farlo. Al contrario pronuncia la più alta professione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». E poi ecco la nostra beatitudine: «Beati quelli che senza aver visto crederanno», cioè felici noi che, dopo duemila anni, cerchiamo di seguire il Maestro e siamo noi quelli di cui parla Gesù, noi che ogni otto giorni, dopo duemila anni, continuiamo a riunirci nel suo nome.

            Le nostre liturgie non ci devono parlare di Dio, ce lo devono far sentire, toccare, sperimentare e Giovanni conclude: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro”. Giovanni ci invita oggi, a scrivere il nostro libro, a scrivere il nostro vangelo.

 

don Franco Bartolino

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