Non c'è niente da fare: quando c'è di mezzo il denaro, saltano tutti gli schemi e tutti i valori umani. Anche nella migliore delle ipotesi e con le migliori intenzioni, quando lo strumento per realizzare un proposito è il denaro, ne esce sempre un danno. Quando il denaro diviene elemento di dominio, di sopraffazione, di potere, non c'è elemento umano che tenga: si passa dall'odio all'amicizia, e viceversa, come se nulla fosse.
Farisei ed erodiani si odiavano a morte, ma pur di incastrare Gesù si alleano e fanno a lui una domanda trabocchetto sul denaro lecito, come se valutare la bontà dei propri sudditi in base a quante tasse pagano fosse lecito. Come se giocare sulla pelle dei poveri con il denaro fosse lecito. La questione, qui, non sta tanto nel pagare o meno il tributo, ma nel dare a ognuno ciò che gli spetta. E Gesù, questo, lo sa bene: sa bene che non deve rispondere a una domanda che lo condannerebbe comunque, in uno o nell'altro senso. Dire “sì” vorrebbe dire riconoscere il dominio di Cesare sul popolo di Dio, e quindi verrebbe accusato dai giudei di bestemmia; dire “no” vorrebbe dire esortare la gente a un boicottaggio fiscale, e quindi verrebbe accusato dai romani di sedizione.
Ma Gesù capisce, e vuole fare capire, che la questione è un'altra. Se c'è un ordinamento politico e fiscale, con le sue leggi, che piaccia o no, le tasse vanno pagate: per cui, dal momento che chi ha il potere attraverso il denaro è il Cesare di turno, che gli venga restituito il segno del suo potere. Forse è anche il caso che ogni tanto ci si faccia un esame di coscienza serio, e invece di preoccuparci di accumulare ci si preoccupi di dare a Dio ciò che è suo, il popolo che egli ama e siccome chi ci rimette più di tutti solitamente sono i deboli, allora sarà davvero il caso di restituire a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio, e ai poveri ciò che è dei poveri.
Che cosa va restituito ai poveri? Molto, moltissimo di quello che è stato usurpato loro nel corso dei secoli. Fondamentalmente tre cose:
- La dignità umana. Siamo bravi tutti a fare la carità, la faremo anche questa domenica purché non sia un modo per lavarsi la coscienza o per svuotare il borsello dalle monetine superflue. Ma fare la carità non basta. Se continuiamo a trattare il povero come una persona priva di dignità, guardandolo dall'alto verso il basso e non alla pari, senza mai dirgli “Ti voglio bene”, il povero da noi avrà magari di che mangiare, ma il suo animo continuerà ad avere bisogno di altro. Ha bisogno di sentirsi fratello, figlio di Dio e non di certo di un Dio minore;
- La libertà. Se pensiamo che la schiavitù nel mondo sia terminata nel momento in cui è stata promulgata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nel 1948, ci sbagliamo di grosso. Ci sono ancora 50 milioni di persone schiave nel mondo e nessuno dice nulla. E nessuno fa nulla per liberare le ragazze schiave del mercato del sesso, i bambini schiavi del lavoro minorile, i poveri schiavi del traffico di organi, i mendicanti schiavi del racket delle offerte. E potremmo continuare per parecchio tempo a elencare le varie tipologie di schiavitù;
- La ricchezza. È la peggiore delle usurpazioni fatte ai paesi poveri, anzi, è più corretto dire “impoveriti”. Impoveriti dalla logica del mercato che cerca manodopera per il lavoro pagandola in nero, dalle leggi di mercato che vanno a estrarre materie prime, laddove ce ne sono tante e “non sono capaci di estrarle”. In questo modo l'economia dei paesi in via di sviluppo gira sempre e solo in un senso a risucchio, da sud verso nord, svuotando il sud del mondo di ciò che gli appartiene. Perché, se il sud del mondo potesse gestire ciò che è suo, ribalterebbe la piramide dell'economia e per i vari “Cesari” di questo mondo sarebbe la fine.
Allora, ridiamo a Cesare ciò che è di Cesare perché lo amministri così come compete a Cesare, ossia per il bene di tutti; ridiamo a Dio ciò che è veramente di Dio, e non ciò che noi “rivestiamo” di Dio e ridiamo ai poveri ciò che è dei poveri e di nessun altro!
don franco Bartolino
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