La prima cosa che mi è venuta da pensare ascoltando le parole della Liturgia di questa domenica è il luogo, la terra in cui esse sono state scritte e pronunciate. Scrivere e parlare d'amore verso Dio e verso il prossimo in una terra che da millenni viene chiamata “Santa” ma nella quale la santità è stata soppiantata dalla barbarie, dalla violenza e da tutto ciò che di più disumano esista, fa davvero una certa impressione, e di sicuro non è una bella impressione.

            È vero che quello che sta accadendo da tre settimane a questa parte non è una novità, perché è parte di una situazione che si trascina da parecchi decenni; ma questo non significa che ci si debba adeguare o rassegnare a questo clima di odio, che tra l'altro non possiamo prevedere a cosa altro possa portare, se non a distruzione e morte, soprattutto di persone innocenti che con queste logiche di potere non hanno proprio nulla a che vedere.

            Eppure, in quella terra, Gesù duemila anni fa parlava di amore a Dio e amore al prossimo come due facce di un'unica medaglia; eppure, sempre in quella terra, una dozzina di secoli prima di Gesù, Mosè con il popolo d'Israele visse l'esperienza dell'Esodo nel deserto, come una grande occasione di solidarietà, di attenzione al povero, al forestiero, alla vedova, all'orfano, come risposta all'amore che Dio aveva dimostrato e continuava a dimostrare al suo popolo.

            Poi, però, lungo la storia, l'umanità ha continuato sempre più a dimenticarsi dell'amore verso il prossimo - e non parlo solo delle grandi guerre, ma anche delle nostre piccole guerre quotidiane e familiari - commettendo, però, l'errore di continuare a proclamarsi “amante” di Dio. È un errore madornale, continuare a dire che amiamo Dio e crediamo in lui, ma poi nel contempo non siamo capaci di amare i nostri fratelli: perché, se almeno tra noi che ci diciamo credenti evitassimo di scindere l'amore per Dio dall'amore per i fratelli, forse tanti conflitti non esisterebbero più.

            E invece, anche noi continuiamo a comportarci come il fariseo del Vangelo, convinti che esista un unico solo grande comandamento nella vita di noi credenti, ovvero amare Dio con tutto noi stessi: nei pensieri sempre rivolti a lui in tutto ciò che facciamo nella vita di ogni giorno, nella retta coscienza di compiere sempre il bene e di fuggire il male. Invece avere a che fare con il prossimo qualche fatica in più la comporta: e allora, puoi anche essere un grande amante di Dio, ma se non ami tuo fratello l'amore che hai per Dio non solo non serve a niente, ma può anche diventare dannoso.

            Convinti che Dio è l'unico bene della nostra vita e che amarlo con tutto noi stessi sia l'unica cosa che conta, noi uomini siamo pure convinti che il resto delle cose della vita possiamo viverle indipendentemente dal riferimento a lui, perché con Dio siamo già a posto, gli abbiamo già detto che lo amiamo; con le persone, invece, l'amore è molto più complicato, perché ognuno di noi ha interessi e diritti da difendere; e allora nascono i conflitti, che, quando sono fatti in nome di Dio diventano un dramma per l'umanità, come sta accadendo in questi giorni.

            Ma senza entrare nei drammi dell'umanità, che ora ci affliggono duramente, restiamo nei piccoli drammi quotidiani, quando tra le nostre case e le nostre piazze non siamo capaci di rispettarci e magari, siamo persone timorati di Dio, gente di chiesa che vanno regolarmente a Messa tutte le domeniche, ma che da quella Messa non riescono a tirar fuori un briciolo di amore verso il prossimo.

            L'unica cosa fondamentale è di non scindere mai questi due comandamenti “simili”, come li definisce Gesù: ossia, amore a Dio e amore al prossimo perché solo l'amore verso il nostro prossimo rende credibile il nostro amore verso Dio.

 

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