Il cammino di Avvento è ben inoltrato e quest'anno ancor di più, perché è un Tempo di Avvento talmente corto che questa terza domenica, più che di metà cammino, pare una domenica “di vigilia”, visto che la prossima domenica sarà letteralmente la Vigilia di Natale; per questo, il tema della gioia che caratterizza da sempre la terza domenica di Avvento, quest'anno lo avvertiamo in maniera ancor più intensa proprio per la prossimità al 25 dicembre.

            Il Vangelo - il quale solitamente attira in maniera preminente la nostra attenzione per quanto riguarda il tema della Liturgia - che invece oggi si rivela priva di qualsiasi riferimento alla gioia, anzi, se c'è un personaggio che esprime tutto, tranne che sentimenti di gioia, questi è proprio Giovanni il Battista: austero, rude, schietto fino all'antipatia con chi viveva una religiosità fatta di apparenze e falsità, non uno che sprizzasse gioia da tutti i pori, neppure per l'imminente venuta del Cristo che egli stava annunciando.      

            Eppure, leggendo tra le righe il testo dell’evangelista Giovanni, possiamo scoprire che quanto il Battista dice di sé e della propria missione testimonia una serenità di fondo, quella serenità che rappresenta la vera gioia, una gioia profonda che, spesso, poco ha a che vedere con il nostro concetto di gioia.

            Per noi, infatti, la gioia ha una connotazione ben precisa: coincide con il sorriso sulle nostre labbra e con la luce che brilla nei nostri occhi, e a volte ci concentriamo così tanto sull'aspetto “esteriore” della gioia, che arriviamo a enfatizzarlo anche attraverso una serie di atteggiamenti che con la gioia spesso ne sono totalmente avulsi. E allora, essere felici per noi vuol dire divertirsi, andare fuori di testa; poi, però, quelle ore passate a divertirsi, come ogni cosa, terminano, e se la gioia ha coinciso solo con la superficialità del divertimento e non ha gettato le proprie radici in qualcosa di più profondo, la fine dei momenti di felicità lascia nel cuore un'angoscia che porta al vuoto interiore e al senso di inutilità delle cose.

            Di quale gioia, allora, è portatore il Battista? Qual è la gioia che riempie il cuore di chi, come lui, non ha espressioni esteriori particolarmente felici, eppure vive di quella serenità interiore che caratterizza la vita dei giusti? La possiamo intuire dalle sue risposte ai leviti e ai sacerdoti che erano andati a interrogarlo in vista di una sua possibile incriminazione come falso profeta o falso messia.

            Egli non si presenta come il Messia o Cristo, né si presenta come un profeta o come Elia, che secondo la tradizione doveva tornare sulla terra per annunciare l'imminente arrivo del Messia: niente di tutto questo. Giovanni si presenta come il testimone della luce che rischiara le tenebre; si presenta come la voce che grida nel deserto l'arrivo del Signore; si presenta come un servo, anzi, ancor meno che un servo, indegno addirittura di slegare il laccio del sandalo.

            Tutto questo, è ciò che per lui rappresenta la vera gioia, quella che alberga nel profondo del cuore dei giusti: la consapevolezza che la nostra vita ha senso e acquista serenità nell'umiltà delle retrovie, dietro le quinte del palcoscenico dell'esistenza, per lasciare posto a chi, davvero, quel posto lo deve occupare. Quanta vera gioia avremmo nel mondo, se fossimo maggiormente consapevoli della necessità di starcene al nostro posto, ossia dietro di LUI.

                                                                                                don Franco Bartolino

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