Le cose più belle e più importanti, nella Bibbia, avvengono sotto una tenda, o in prossimità di una tenda. Basti pensare alla vicenda di Abramo, che si gioca tutta intorno alla sua tenda. Fino ad arrivare al popolo dell'Esodo, che vive di tenda in tenda, per quarant'anni nomade nel deserto. E non solo il popolo: il suo stesso Dio sceglie di dimorare, con l'Arca dell'Alleanza, sotto una tenda, provvisorio, nomade, sempre pronto a smontare l'accampamento e a dirigersi ovunque egli lo ritenga opportuno, scegliendo per il suo popolo ciò che gli serviva per rivelargli il suo amore.
La tenda è l'immagine del cammino, della precarietà, a volte anche dell'instabilità, ma è pure un segno di forza, perché indica la capacità di resistere alle prove della vita e di rialzarsi con una certa facilità, pronti a ripartire senza dover perdere tempo a piangere su ciò che è crollato e andato in rovina. E questo fino a quando il popolo di Dio da nomade non avendo più la necessità di spostarsi di tenda in tenda, inizia a costruire case che danno più stabilità e più sicurezza.
È con il re Davide che inizia a prendere corpo questa logica di un palazzo anche per Dio: avviene quando il re - lo abbiamo ascoltato nella prima lettura - si sente al sicuro nel suo palazzo, al sicuro da tutti i nemici, per cui giunge il momento per lui di “mettere al sicuro” anche Dio. E a poco a poco, sparisce il concetto stesso di “tenda” e questo, perché il popolo, a partire dai suoi re e dai suoi capi, si era abituato alla logica del palazzo, e alla logica del tempio come palazzo di Dio.
Ma Dio non può essere rinchiuso in un palazzo e non regge le logiche del palazzo. Dio cammina con il suo popolo e se il popolo cammina nella precarietà, Dio condivide con il popolo la stessa precarietà: una precarietà che è di tutti, anche di chi crede di essere stabile, forte, sicuro. Non per nulla, Dio accetterà - suo malgrado - che Salomone, figlio di Davide, gli costruisca un tempio: ma gli chiederà di nascondere l'Arca dell'Alleanza dietro una tenda per continuare ad essere il Dio della Tenda, del cammino, del deserto, della precarietà.
Con queste immagini di fine Avvento - ma possiamo a ragione chiamarle di vigilia natalizia - Dio ci vuole ricordare una cosa, molto semplice da comprendere e insieme molto complicata da attuare: ossia che, se l'umanità, assetata di Dio, vuole incontrarlo, conoscerlo, e iniziare un cammino con lui, dovrà farlo nella precarietà di una tenda, e non nella stabilità e nella sicurezza di un palazzo. Che, in fondo, è il mistero della precarietà della grotta di Betlemme: semplice da comprendere, suggestivo ed emozionante da contemplare, ma tremendamente difficile da vivere.
Perché, dopo millenni in cui abbiamo vissuto e continuiamo a vivere una fede “da palazzo”, scrollarci di dosso la pesantezza di strutture e di giochi di potere che con la fede hanno ben poco a che vedere, non è per niente facile. E lo vediamo in quei continui tentativi di riforma che la Chiesa, anche in questi ultimi giorni, sta cercando faticosamente di portare avanti, e che puntualmente trovano resistenza innanzitutto nel nostro cuore e nella nostra testa, prima ancora che negli ambienti clericali, ecclesiali e di potere. Non perdiamoci d'animo, però, anche perché abbiamo un meraviglioso esempio davanti a noi: impariamo, da Maria, ad accettare che sia Dio a prendere l'iniziativa: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
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