Da sempre, la quarta domenica del Tempo di Pasqua è dedicata alla figura di Cristo Buon Pastore, in quanto la Liturgia ci presenta la lettura di un breve brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si rivolge prima ai suoi discepoli e poi a un gruppo di Giudei suoi oppositori con una parabola, un po' diversa dalle solite come “insolito” è il Vangelo di Giovanni. Gesù si presenta come il “Buon Pastore”, richiamando una figura cara all'Antico Testamento e in modo particolare alla tradizione profetica, nella quale il pastore si identifica non solo con i capi d'Israele, ma anche e soprattutto con la figura paterna e amorevole di Dio. Nel solco della tradizione profetica Gesù presenta l'ideale della figura del pastore, ovvero del responsabile di una comunità, il quale dev'essere - a imitazione della bontà di Dio - pronto a tutto per le sue pecore, addirittura a “dare la vita” per esse.

            In questo senso, il pastore si distingue dal “mercenario”: questo termine deve la propria origine all'ambiente militare e si riferisce al soldato che combatte una guerra non per amore della patria, ma per amore del denaro e quindi, si offre all'esercito che meglio lo paga. Applicato al mondo agropastorale, si tratta di un qualsiasi operaio che ha come unico scopo quello di guadagnare il più possibile, magari con il minimo sforzo, per cui si guarda bene dal metterci passione in ciò che fa. Al punto che, in una situazione di pericolo o d'insicurezza, una volta assicuratosi il proprio stipendio, se la fila a gambe levate, lasciando al loro destino le pecore che gli sono state affidate, proprio perché non sono sue. Tant'è, un altro padrone lo troverà comunque, e anche da quello cercherà di lucrare il più possibile.

            È proprio su questa contrapposizione tra “appassionato” e “mestierante” che Gesù fa perno per far comprendere ai propri uditori quale sia, nell'esercizio della responsabilità, l'elemento discriminante tra i due, ovvero l'Amore. Chi fa le cose per guadagnare, non necessariamente fa una cosa illecita: non fa altro che entrare nella logica del mercato. A una prestazione corrisponde un salario, al di là della passione che ci si mette nel farlo perché la passione non ha prezzo perché l'Amore non ha prezzo e con esso, non ha prezzo la bellezza dell'opera e del lavoro realizzati. Una cosa fatta per dovere o secondo logiche di mercato, ha un valore e come tale va pagata, anche per un criterio di giustizia sociale; ma la stessa cosa fatta con amore ha un plusvalore a cui nessun datore di lavoro riconoscerà un bonus, eppure esso rappresenta il valore aggiunto dell'opera realizzata.

            Quanto siamo lontani dall'aver compreso che a nulla vale la competenza delle scienze, dell'esperienza e dell'autorità, se non siamo testimoni autorevoli e credibili dell'amore che da Dio abbiamo ricevuto e per suo comando siamo tenuti a donare! La miglior azione pastorale rimane quella della testimonianza e l'unica testimonianza credibile è quella di chi sa amare perché - come diceva il grande teologo Von Balthasar oltre sessant'anni fa - “solo l'amore è credibile”.

                                                                                                             don Franco Bartolino

 

 

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