Terminate le tre grandi solennità del Signore, che ci hanno aiutato a entrare nel cuore stesso di Dio, il cui amore trinitario si fa cibo e bevanda di vita per chi crede in Lui, e misericordia per chi lo accoglie nella propria vita, le nostre domeniche riassumono il colore verde della speranza, che ci accompagnerà lungo tutto il Tempo Ordinario, ossia nell'ordinarietà del nostro cammino di fede, celebrato la domenica in comunità e vissuto nel nostro lavoro quotidiano, nelle nostre quotidiane passioni, nei nostri quotidiani desideri, e ovviamente anche nelle nostre quotidiane povertà, nella quotidiana fatica di incontrare Dio e di vedere i segni della sua presenza nella nostra vita di ogni giorno. E anche se spesso invochiamo e desideriamo un po' di quotidianità e di normalità nella vita di fede, questa ordinarietà non è certo un cammino facile, anzi, si presenta pieno di insidie.
Quando, infatti, viviamo celebrazioni particolari come quelle che abbiamo vissuto nelle scorse domeniche, oppure durante i tempi forti della Quaresima e della Pasqua, la possibilità di sentire il Signore presente, di incontrarlo e di vederlo vicino a noi, si fa senz'altro più concreta e si avverte un maggior entusiasmo. Poi, però, l'ordinarietà che a volte erroneamente ci trascina in un senso di noia che alla fine sfocia in domande che noi rivolgiamo al Dio “nascosto” e uno di questi interrogativi è presente sia pur formulato in maniera inversa nella Liturgia della Parola di oggi: “dove sei?”.
Noi, Signore, ce lo chiediamo spesso “dove sei”. Dove sei, se fino a poche settimane fa eri nel sorriso agitato e meraviglioso dei bambini della prima Eucarestia, e ora siamo quasi costretti a incrociarti negli sguardi stanchi e affaticati dei pochi anziani che ancora frequentano quotidianamente le nostre chiese? Dove sei, se guardandoti presente nell'Eucarestia ci hai fatto sentire una pace e un calore interiore che poi ti sei affrettato a smorzare con una serie di problemi che ci hanno impedito domenica di fare processione del Corpus Domini? Dove sei, adesso che, passate le feste, sentiamo un senso di noia e di stanchezza e a tutto pensiamo - vacanze, sole, mare - meno che a te? Dove sei, se le notizie che leggiamo sui giornali di ogni giorno o le immagini che vediamo quotidianamente in televisione o sui social, di tutto ci parlano meno che di quella gioia, di quella pace e di quella vita che tu ci hai fatto credere di essere? Sembra proprio che le forze del male, nella vita di ogni giorno, abbiano il sopravvento su di noi e magari senza che Dio faccia nulla per risparmiarci tante sofferenze, e la cosa viene da molto lontano, come abbiamo ascoltato dal Libro del Genesi.
Ma del resto, che il male avesse invaso la vita dell'uomo lo dicevano anche di te, Signore, l'abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi: e vuoi che non lo dicano di noi? Anche i tuoi parenti, preoccupati per ciò che dicevano di te, vengono a dirti il loro “dove sei?”, ti vengono a cercare, addirittura ti vogliono portare via perché credono che tu non ci stia più con la testa. Oppure c'è chi, come gli scribi, vuole farti prigioniero, così come spesso vorremmo “catturarti” anche noi, nel momento in cui ti troviamo, perché almeno così te ne resti con noi e non ci metti più in crisi. Sì, perché tu ci metti effettivamente in crisi, quando quella stessa domanda la rivolgi a ognuno di noi e non da oggi, ma da sempre, da che mondo è mondo: “uomo, donna, dove sei?”.
Quel “dove sei” rivolto da Adamo a Dio pesa infinitamente di più di tutti i “dove sei” che noi rivolgiamo a Dio, quando gli rinfacciamo di non esserci più, di sparire dalla nostra vita, di giocare a nascondino con noi. Perché in fondo, Dio non vuole che scappiamo da lui per la vergogna di essere nudi alla sua vista: del resto, ci ha creati lui, volete che non sappia come siamo fatti? Dio non vuole che noi non pecchiamo: sa benissimo che ci risulta impossibile. Dio non ci vuole perfetti: sa benissimo che non ne siamo capaci. Dio non ci vuole irreprensibili e nemmeno liberi da tentazioni: sa benissimo che la nostra è la stirpe del “calcagno insidiato”, del serpente avvolto alle nostre caviglie, sempre vivo, sempre con le fauci aperte, pronto a morderci in ogni istante.
Dio non ci vuole impeccabili: ci vuole felici, e per questo vuole che al male schiacciamo la testa, che al male impediamo di avere il sopravvento su di noi. Ma per fare questo, dobbiamo avere il coraggio di guardare il male dritto negli occhi, dobbiamo affrontarlo come Dio lo affronta, a viso aperto, prendendoci le nostre responsabilità, ammettendo che sì, è vero, siamo peccatori, ma ciò non toglie nulla al suo amore per noi, anzi! L'importante è avere il coraggio di rispondere noi, per primi, a quella domanda che invece abbiamo la sfrontatezza di rivolgere a lui: “dove sei?”.
Non abbiamo paura di dire a Dio la verità: “Guarda, mi sono nascosto da te perché ho sbagliato”. Non abbiamo paura di dire a Dio: “Sono stato io”, invece di dare la colpa a chi ci è a fianco o a chi ci inganna, o al sistema, o ai cattivi di turno o, peggio ancora, a Dio stesso, che fa lo sbaglio di mettere al nostro fianco le persone sbagliate!
Se avremo il coraggio, di fronte al “dove sei?” di Dio, di rispondere: “Sono qui, ho sbagliato”, saremo in grado anche di ascoltare la sua risposta ai nostri innumerevoli “dove sei, Dio?” e la sua risposta è semplice: “sono qui, non me non sono mai andato. Perché anche se tu pensi che io mi sia nascosto, o che io sia andato fuori di testa e mi sia dimenticato di te, tu per me sarai sempre fratello, sorella e madre perché io ti amo”.
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