Il discorso del Vangelo di Giovanni sul Pane di Vita ci accompagna anche in questa domenica. Attraverso l'immagine del banchetto nella Sacre Scritture, non si descrive solo una funzione vitale come quella del mangiare e del bere: il banchetto biblico è sempre anche un “memoriale”, ovvero un rito durante il quale si fa anche memoria di qualcosa che è avvenuto nel passato, i cui benefici continuano ad avere efficacia nella vita presente senza ovviamente dimenticare il valore simbolico della condivisione del cibo, che altro non è se non entrare in comunione e in amicizia con chi mangia insieme con noi. Da buon ebreo, Gesù vive con intensità la pratica del banchetto, e non solo nel banchetto dell'Ultima Cena, dove ci consegna la sua carne e il suo sangue nei segni del pane e del vino come “memoriale” della sua Morte e Resurrezione. Molti, infatti, sono i messaggi e i gesti significativi della sua missione avvenuti nel contesto di un banchetto.
È a un banchetto matrimoniale a Cana di Galilea che Gesù, trasformando l'acqua in vino, dà inizio ai segni miracolosi che contraddistingueranno la sua missione; è a un banchetto in casa di Levi il pubblicano, da poco chiamato al suo servizio, che rivela ai benpensanti d'Israele di essere venuto nel mondo a chiamare non i giusti, ma i peccatori; ed è sempre nel contesto di un banchetto in casa di un fariseo che Gesù, ricevuto un gesto d'affetto da una donna ritenuta “di pessima reputazione”, fa comprendere al puritano padrone di casa che solo chi ama di più è degno di sperimentare di più l'amore e il perdono di Dio; è a un banchetto in casa di un uomo di Betania guarito dalla lebbra che Gesù riceve un'unzione che è preludio della sua morte; e anche dopo la sua resurrezione, Gesù si presenta vivo ai suoi condividendo con loro un po' di pane sulla strada di Emmaus e un po' di pesce arrostito in riva al lago di Galilea. Per non parlare di quella famosa parabola nella quale paragona il Regno dei Cieli a un banchetto pensato inizialmente per i buoni e i giusti, i quali però rifiutano l'invito venendone definitivamente esclusi, a vantaggio dei poveri, degli emarginati e degli ultimi.
Tutto questo urta la sensibilità delle autorità religiose del suo tempo, che non possono accettare che un uomo di Dio condivida il banchetto con i peccatori, gli emarginati e gli esclusi della società: se banchettare con una persona significa sentirsi in amicizia e in comunione con lei, è chiaro che per i farisei puritani un Dio che entra in comunione con i peccatori è un Dio ridicolo, banale, addirittura blasfemo. Ma è proprio la condivisione della vita di Cristo con gli ultimi che spinge noi a comprendere che il Banchetto Eucaristico è il banchetto che ci fa “una sola cosa” con tutti gli esclusi e gli emarginati della società, così come lui ha fatto. Se quel Banchetto Eucaristico a cui partecipiamo con assiduità ogni domenica, o magari addirittura quotidianamente, non è capace poi di sfociare in gesti concreti di solidarietà con chi soffre, con chi è escluso, con chi è emarginato e con chi fatica ad avere un comportamento ineccepibile, risulta perfettamente inutile partecipare all'Eucaristia. La nostra partecipazione sarebbe puramente formale, rituale, incapace di dire qualcosa alla nostra vita, di creare condivisione, e quindi sarebbe profondamente falsa, proprio come quella dei benpensanti contemporanei di Gesù.
La continuità fra il Banchetto Eucaristico a cui partecipiamo e l'attenzione ai nostri fratelli più emarginati e bisognosi è fondamentale per acquistare la Sapienza divina; quella sapienza che, in Gesù, coincide con il comandamento della carità, che a parole diciamo di conoscere molto bene, ma che nella vita di ogni giorno rischia di rimanere un mucchio di belle parole gettate al vento. Va benissimo, allora, partecipare assiduamente al Banchetto Eucaristico: purché questo sfoci poi, come quello di Cristo, in gesti di carità concreta, di accoglienza, di condivisione con i più poveri, emarginati e con i feriti dalla vita.
don Franco Bartolino
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