Potremmo iniziare la nostra riflessione di questa domenica con una domanda: nella vita di fede, siamo tradizionalisti o progressisti? Amiamo le cose antiche legate alla tradizione oppure siamo più portati alla modernità e a cercare nuovi modi di vivere la fede? Non è una domanda priva di attualità: mai come in questo tempo, perlomeno da dopo il Concilio Vaticano II, nella Chiesa si sente questa duplice spinta: da una parte, c'è l'apertura a modelli nuovi: maggiore dialogo con altre religioni, altri modelli sociali e culturali; dall'altra parte c'è un forte ritorno al tradizionalismo, anche attraverso la rivalutazione di forme liturgiche appartenenti al passato. A volte, ci si chiede cosa sia più giusto fare.
Se si è alternativi nel vivere la fede, si è visti male da una certa parte della Chiesa proprio perché alternativi e quindi potenzialmente capaci di cadere in forme dottrinalmente scorrette; se si è tradizionali si è accusati di non essere al passo con i tempi e quindi lontani dall'uomo contemporaneo, testimoni antiquati di una fede che non dice più nulla alla gente. E allora, cos'è giusto fare? Come ci si deve comportare? Oppure è bene stare a metà, come la saggezza latina insegna “in medio stat virtus” - “la virtù sta nel mezzo”, salvando così “capra e cavoli”?
“Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?”. Anche a Gesù è stata fatta questa domanda, quando i suoi discepoli si permettevano atteggiamenti “diversi” da quelli che la Legge di Mosè aveva loro insegnato e la reazione di Gesù non è certo delle più morbide: attacca i farisei che cercavano di rimanere fedeli alle tradizioni definendoli “ipocriti”, ovvero legati solo esteriormente alle tradizioni, ma in realtà lontani dallo spirito delle cose che le tradizioni volevano insegnare.
Perché Gesù se la prende tanto? Il problema non sta nello scegliere un modello rispetto a un altro, e la chiave delle affermazioni di Gesù sta nella citazione che egli stesso fa, nel Vangelo di oggi, a proposito di quanto disse il profeta Isaia al popolo d'Israele: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”. Cosa significa questo? Gesù vuole è che il rapporto con Dio non debba essere valutato sulla scorta di atteggiamenti più o meno rispondenti a leggi o norme, ma sull'intensità del nostro legame con Lui, ovvero sul “cuore” che ci mettiamo quando facciamo qualcosa.
In fondo, servire Dio e definirsi cristiani non è difficile: basta seguire le norme che la Chiesa ci indica, conoscere e applicare il catechismo e i comandamenti, assolvere i precetti e con questo siamo a posto. Questo è sufficiente per dirci appartenenti alla religione cristiana, ma per dire che amiamo Dio, non basta. Tra l'appartenere a una religione ed essere uomini e donne profondamente innamorati di Dio, c'è una bella differenza, perché onorare Dio con le labbra non significa automaticamente amarlo con il cuore, soprattutto quando “onorare Dio” con atteggiamenti giusti e irreprensibili ci porta a giudicare gli altri, arrivando addirittura a pensare male di loro perché non professano la loro dottrina così come lo facciamo noi.
Si può essere uomini e donne di Dio anche se diversi e lontani dagli schemi classici, così come può capitare di non amare Dio pur osservando tutte le tradizioni che la Chiesa ci ha insegnato. Se il nostro cuore non è tutto rivolto a Dio, non sarà certo l'osservanza o meno dei precetti a riportarlo verso di Lui.
Perché non è ciò che assumiamo dentro di noi a farci giusti è ciò che “buttiamo fuori” nei confronti della vita che dice quanto il nostro cuore sia pieno di amore oppure di tutte quelle sporcizie che il Vangelo di oggi ci sbatte drasticamente in faccia: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza, e chi più ne ha più ne metta.
Sono queste tutte cose che buttiamo fuori, addosso agli altri, quando il nostro cuore non è tutto rivolto a Dio e anche se a Messa ci andiamo tutte le domeniche e magari tutti i giorni, convinti che basti questo per dirci cristiani.
Don Franco Bartolino
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