Sono pochissimi gli episodi di guarigione, nel Vangelo, in cui il malato viene chiamato per nome dall'evangelista. Quindi, se oggi Marco lo fa, è per farci comprendere che un incontro vero con Gesù non è una cosa qualsiasi: è un incontro personale, di due persone, di due storie, di due vicende ben definite, che a una cambia la vita, e all'altra permette di manifestarsi come il Dio della vita.

            Questo commovente incontro di Gesù con Timeo, il cieco di Gerico, mi porta a pensare come uno dei compiti principali del cristiano sia quello di annunciare all'uomo che incontra sul proprio cammino che Dio è misericordioso, dal cuore grande, che ha compassione dell'uomo che grida verso di lui tutta la sua disperazione. In ogni parte del mondo, in ogni momento, si viene costantemente a contatto con un'umanità che in mille maniere grida verso Dio: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

            Lo gridano i popoli che migrano perché rimasti senza casa e senza terra; lo gridano le popolazioni che non conoscono pace; lo gridano i popoli che soffrono la fame e  l'elenco delle persone che gridano “pietà” in ogni angolo del mondo non finisce qui: donne violentate, prigionieri torturati, bambini abbandonati per strada, padri e madri di famiglia che perdono il lavoro per pure logiche di profitto, malati terminali che faticano non solo a vivere, ma anche a morire e nessun credente può rimanere sordo, di fronte a questa umanità che grida la sua disperazione.

            “Avere pietà” di questa umanità, avere compassione, non significa “commiserare”: quello siamo capacissimi tutti di farlo e non basta; anzi, non serve proprio a niente. La compassione del Dio di Gesù Cristo non è una sterile commiserazione delle sofferenze altrui, ma è una vera e propria “compassione”, è un “soffrire insieme”, è “sentirsi partecipe” delle sofferenze dell'altro e fare qualsiasi cosa purché l'altro riesca ad abbandonare la propria situazione di sofferenza.

            Gesù non è venuto su questa terra solo per essere vicino all'uomo che soffre perché Gesù è uno che ascolta il grido del povero anche là dove tutti cercano di metterlo a tacere; lo fa alzare in piedi, gli fa dire con le sue stesse parole che sì, è possibile essere salvati; e una volta liberata, questa umanità sofferente, desidera che si faccia sua seguace, per proclamare a tutti la misericordia che le è stata usata!

            Se come cristiani impegnati siamo bravi a lavarci spesso la bocca dicendo di voler essere per i più poveri il segno di un Dio che libera e che salva, allora dobbiamo partire da qui, da un atteggiamento in cui la consolazione e la vicinanza al povero non siano l'espressione di una fede formale, dobbiamo partire dall'annuncio senza paura di un Vangelo che smuova le coscienze di quei benpensanti che hanno tutto l'interesse a “farlo tacere”.

            E dobbiamo giungere anche noi a ciò a cui Cristo giunge al termine di questo incontro con Timeo: annunciare al povero che è la sua fede nel Dio della vita che lo ha salvato, e che ora tocca a lui essere discepolo della misericordia e della compassione di Dio verso ogni uomo, in particolare verso colui che gli è simile nella povertà.

            Con questa domenica si conclude pure il mese missionario. Chiunque si dica missionario, ovvero discepolo e annunciatore di Cristo e del suo Vangelo, in ogni parte del mondo, oggi deve lasciarsi scuotere da questa parola liberatrice; perché anche grazie alla pochezza delle nostre opere ci sia sempre un'umanità oppressa capace di riscattare la propria vita e di fare altrettanto con chi ancora continua a soffrire, esortandolo con le parole del vero discepolo: “Coraggio, alzati! È il Signore che ti chiama!”.

                                                                                                                         don Franco Bartolino

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