In questa seconda domenica di Avvento ascoltiamo e accogliamo la parola di Giovanni Battista che ci invita a preparare la via al Signore che viene.

Cosa significa preparare la via? Ce lo indica lui stesso quando ci richiama alla conversione. La conversione, come ricorda Giovanni Battista, è frutto di un incontro, è un evento di fede grazie al quale il credente accoglie e accetta la relazione con il Signore, decidendo così di sé e della propria vita. Non basta, però, cambiare i singoli atteggiamenti della nostra esistenza; non si tratta, infatti, di apportare piccole modifiche al nostro vivere, ma di cambiare mentalità, sguardo, cuore, in forza dell’incontro personale con il Signore e dell’accoglienza di quell’amore compreso e sperimentato come salvante, dinanzi al quale ci si riconosce peccatori e bisognosi di misericordia. Questo è il senso e il significato del battesimo che Giovanni sta amministrando! Quando parliamo di peccato intendiamo quell’atteggiamento di fondo che, con consapevolezza, rifiuta la presenza e l’opera dello Spirito Santo lasciandosi sopraffare dalle logiche mondane che spingono verso l’autoreferenzialità e “il delirio di onnipotenza”. Ecco perché la conversione è un processo che continua nel tempo, che ha bisogno di tappe e momenti fondamentali nei quali si è chiamati a riflettere e a chiedersi non tanto cosa fare per convertirsi, bensì come essere del Signore e nel Signore per dare senso all’esistenza.

La relazione con il Signore matura e cresce nel tempo, non è mai qualcosa di scontato o di acquisito una volta per tutte, si solidifica sempre più nell’ascolto della sua parola, nel lasciarsi interrogare e possedere da essa. Pertanto, anche la conversione è un cammino mai concluso, ma sempre aperto poiché, nella misura in cui si è disponibili ad accogliere la Parola e a lasciarla agire nella nostra vita, si sperimenterà l’esigenza profonda di camminare come il Maestro, in forza di lui, alla sua sequela, certi di poter vivere, in questo mondo, la comunione vista possibile in lui. In fondo, possiamo dire che la conversione è come un continuo esodo, un’incessante uscita da se stessi, dal proprio ripiegamento, dal proprio egoismo verso la terra della relazione, lasciandosi coinvolgere totalmente e personalmente al fine di sperimentare il dono della comunione e della carità. Il soggetto che si apre a questo invito diventa una piccola parte del regno di Dio che è regno di giustizia e di pace per il quale vale la pena spendere tutte le proprie energie per affrettarne la venuta attraverso gesti concreti di amore verso Dio e verso il prossimo.

Accogliere l’invito del Signore a liberarci da ogni ulteriore signoria, dalle passioni ingannatrici, dalla mentalità di questo mondo permette al credente di porre l’attenzione non solo su di sé, ma sull’intero creato, su tutta la fraternità umana su cui volgere lo stesso sguardo di misericordia del Signore, partecipando, così, all’opera di rigenerazione e di redenzione che ancora oggi è in atto.

Far spazio nella propria esistenza al regno che viene, significa lasciarsi coinvolgere totalmente all’interno del progetto che Dio ha per l’umanità e che affida ad ogni uomo, come dono e come impegno, in forza di lui e con lui e che bisogna testimoniare attraverso decisioni concrete. Accogliere l’esigenza della conversione, di una comprensione sempre maggiore di Dio e di se stessi, significa uscire dall’abitudine e dall’assuefazione che rendono la vita “mediocre”, frutto di pigrizia e di disimpegno, per mettersi alla ricerca del “meglio”, cioè di un continuo avanzare nel cammino con il Signore per vivere sempre più l’esistenza come dono gratuito.

Accogliamo l’invito “a fare frutti degni di conversione”, saremo figli di Abramo nati sì da un cuore di pietra ma che hanno sperimentato nel Signore la bellezza di un cuore di carne, pulsante, vivo.

Così quando egli ritornerà ci prenderà e ci porterà con sé, lì dove anche lui è.

 

Suor Simona Farace

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