Per il 48° anniversario del dies natalis di Madre Ilia si è celebrato il Vespro nella chiesa di Santa Croce. A presiedere la preghiera è stato il nostro cappellano, don Franco Bartolino. Di seguito riportiamo il pensiero che, dopo la lettura breve, ha condiviso con le suore e gli amici di Madre Ilia presenti:
Gesù, la cui umanità era stata profumata dalle mani di Maria a Betania, avverte il turbamento per il mistero del tradimento, senza smettere di amare i suoi sino alla fine. A differenza di Maria, i discepoli, seduti a mensa con il Maestro, non comprendono, quasi storditi dalla paura e timorosi di dover acconsentire a qualcosa di incomprensibile.
A tavola, quando già il diavolo aveva messo nel cuore di Giuda l'avversione, Gesù è profondamente turbato. Un turbamento che non è sprigionato solo dal tradimento di un apostolo, ma anche dalla "distanza" degli altri discepoli nell'ora dell'arresto che si avvicina.
Penso all'incertezza di Pietro che lo rinnegherà, alla curiosità Giovanni, l'amato dal Signore, ma soprattutto al silenzio di Giuda uno che aveva lasciato tutto per stare con Gesù giorno e notte, fratello, amico, uomo di fiducia.
Gesù durante la cena non si difende, non si nasconde, non fugge perché è la vita e la vita non può morire. Anzi continua ad amare sino a offrire il primo boccone della cena proprio a Giuda, offrendogli una nuova possibilità per evitare di essere risucchiato dalle tenebre. Anche a Pietro, nonostante il rinnegamento, non farà mancare lo sguardo misericordioso e al discepolo amato che si china petto, permette di ascoltare la profondità e l'intensità dei battiti del cuore.
La cena è un grande e insondabile mistero, che suscita emozione, premura, fedeltà, abbandono. A quella cena Gesù invita ognuno di noi e ci permette di chinarci come Giovanni per ascoltare il suo cuore. Sono consapevole del mio desiderio di amicizia con Lui, ma so anche di non poter contare sulla volontà di bene che sento se Gesù stesso non mi da forza.
Poco è quel che mangiamo alla tavola dell'altare, eppure ci rende felicemente sazi; poche gocce beviamo eppure il calice diventa spazio tra questo e un mondo diverso. Entrare nell'Eucaristia è fare comunione con Gesù, nonostante le difficoltà del quotidiano e la complessità delle giornate che stiamo vivendo tutti in questo tempo.
Accogliamo, in questa domenica Terza di Quaresima in cui facciamo memoria del dies natalis della Madre, l'invito a preparare la stanza del piano superiore perché Gesù desidera spezzare il pane della vita. Questa stanza - cenacolo della storia - è la nostra coscienza dove l’io incontra il tu di Dio. Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità! Avviciniamoci all'Eucaristia e sarà vivificata l'anima, perché parlerà lo Spirito del Signore che suscita benevolenza e prossimità.
Come reagisci davanti a Gesù che ti offre pane e vino e dice: "Sono io, nutriti di me; vivi con me". Con l'istinto della fede di Pietro potremmo rispondere: Signore sarò sempre con te e non mi allontanerò mai. Ma possiamo dirci tanto sicuri di non tradire la fiducia del Signore?
Giuda siamo noi. Perdonaci Signore. L'abisso del cuore, a volte, sa tradire e venderti, per pochi spiccioli. Siamo talvolta Pietro: timoroso amico, che non sa restare al tuo fianco, ma neppure lontano da te e sotto il tuo sguardo mentre ti rinnega, desidera solo aprirti il cuore.
Siamo Giovanni quando il cuore risponde con prontezza, siamo l'amico che si china sul tuo petto, dove trova la forza di restare saldo sotto la croce e alla tomba credere che sei veramente risorto.
«Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua Risurrezione. Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza, hanno murato gli uomini vivi. Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente di chi piange. Concedi a chi non crede in Te, di comprendere che la tua Pasqua è l’unica forza della storia perennemente eversiva. E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini». (Tonino Bello)
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