C'era un varietà televisivo della mia fanciullezza che terminava con una simpatica sigla nella
quale i due protagonisti, notissimi coniugi della comicità italiana, cantavano “Beato chi ci crede: noi
no, non ci crediamo!”. E questo ritornello mi risulta quasi naturale associarlo al brano di Vangelo di
questa solennità di Tutti i Santi, quel famoso annuncio con cui Gesù apre il cosiddetto Discorso
della Montagna del Vangelo di Matteo, e più in generale la propria attività di predicatore.
Proclama “beati” tutta una serie di persone che, agli occhi del mondo, tutto possono
sembrare meno che “beati”: pare, appunto, una specie di auspicio, molto utopico, di fronte al quale
ci piacerebbe davvero poter dare il nostro assenso, ma che guardando alla realtà dei fatti ci viene più
spontaneo liquidare dicendo “beato chi ci crede”!
Perché, stando a quanto vediamo accadere, è veramente difficile credere allo stato di
beatitudine dei “poveri”, materialmente o spiritualmente parlando: un poveraccio è tutt'altro meno
che beato. Definire “beati” quelli che sono nel pianto suona addirittura da presa in giro. Pensare che
una persona mite sia una persona “beata” lo si può fare solo nella misura in cui lo si pensa nella sua
dimensione interiore, forse perché vive in un mondo tutto suo, dal momento che vivere in questo
nostro mondo fa “incavolare” parecchio, altro che mitezza!
La presa in giro dello stato di beatitudine prosegue con coloro che hanno fame e sete della
giustizia: vallo a dire a coloro che stanno aspettando giustizia da mezzo secolo e più per la vita dei
loro cari, colpevoli solamente di essersi trovati di passaggio in piazza della Loggia a Brescia,
oppure allo sportello della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, o in attesa
del treno a Bologna il 2 agosto 1980, beati loro, forse, perché non sono sopravvissuti alla vergogna
che i loro familiari “assetati e affamati di giustizia”, e addirittura “perseguitati dalla giustizia”
hanno dovuto sopportare quando si sono sentiti dire che “il fatto non sussiste” e quanti “beati” come
loro, in questa nostra povera Italia.
Anche essere misericordiosi non è che sia esattamente una “beatitudine”, visto e considerato
che più sei buono e indulgente, e più te la fanno sotto il naso. E se provi ad avere purezza di cuore
con tutta la malizia che c'è in questo mondo, anche la migliore e la più innocente delle tue azioni e
delle tue parole verranno interpretate come qualcosa di cattivo, altro che “beato”!
E poi “beati gli operatori di pace”. Basta vedere come vengono ascoltati, in questi giorni,
quelli che gridano pace da ogni angolo della terra e la prima cosa che si guarda è il tipo di bandiera
che essi sventolano, e in base a quella, li si definisce pacifisti o terroristi e intanto non si ascolta il
grido disperato degli innocenti!
Davvero beato chi nonostante tutto riesce a convincersi che le cose possano cambiare,
perché noi comuni mortali facciamo tanta, troppa fatica a crederci!
Ecco la festa di oggi, forse, viene anche a ricordarci che le cose possono cambiare, che la
vita può essere differente, se la guardiamo con occhi diversi, e che dire di loro “beati”, forse, non è
proclamare un dato di fatto, ma significa indicarci una speranza. Significa, cioè, che è possibile
essere beati in questo mondo nella misura in cui lo vogliamo migliore di come esso è, e facciamo di
tutto perché lo sia veramente.
Non solo: la Chiesa, in una celebrazione unica, ci mostra che lungo la storia qualcuno che ha
creduto al messaggio delle Beatitudini c'è stato veramente, e apparteneva a ogni nazione, tribù,
popolo e lingua, perché la Beatitudine, la capacità, cioè, di credere e lottare per un mondo nuovo,
non è prerogativa di alcun popolo, non parla una solo lingua, non è appannaggio di alcuna nazione
ed è possibile a tutti, e ci dobbiamo credere tutti.
Perché qualcuno, anzi, molti - “una moltitudine immensa che nessuno poteva contare”, dice
l’Apocalisse - lo ha fatto, e sono i santi e le sante di ogni tempo, di ogni cultura e di ogni fede.
Beati sono Francesco e Chiara di Assisi, perché poveri in spirito e nel corpo; beato è il
pianto di Monica di Ippona, perché le sue lacrime hanno reso santo il figlio Agostino, come le
lacrime di Maria Maddalena hanno fatto di lei l'apostola degli apostoli; beato è Giuseppe Diana,
beato è Pino Puglisi e tutti coloro che assetati e affamati di giustizia, pur essendo dalla giustizia
umana perseguitati, hanno amato il loro popolo fino al dono della vita.
Beata la mitezza di Francesco di Sales, di fronte alla quale la gente in Savoia si domandava
quanto doveva essere buono Dio, se il loro vescovo Francesco era così buono; beati i vari Leopoldo
Mandic, Padre Pio e tutti coloro che si sono consumati nel confessionale amministrando la
misericordia di Dio. Beata la purezza di cuore di Luigi Gonzaga e di Filippo Neri; beati Martin
Luther King, Gandhi, Giovanni XXIII, Tonino Bello, Charles de Foucauld, che hanno operato a
favore della pace, intesa davvero come non violenza, al contrario di coloro che teorizzano che se
vuoi la pace devi preparare la guerra.
Quanti beati nella storia e quanta nostalgia di beati come questi nei tempi che ci troviamo a
vivere. Ma oggi non è il giorno della nostalgia e del rimpianto: pensando a loro, è il giorno della
speranza; pensando a loro, oggi vogliamo dire: “Beato chi ci crede. Noi, sì, ci crediamo
veramente!”.
don Franco Bartolino
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