Il Vangelo di quest'ultima domenica di Avvento, dal sapore prettamente natalizio, ci racconta di un incontro affascinante, ricco nella sua descrizione ma anche scarno di particolari, dal momento che sorvola sui tre mesi trascorsi da Maria in compagnia di Elisabetta, in modo particolare nel momento della nascita di Giovanni, a cui possiamo immaginare che Maria abbia assistito. Che cosa si saranno dette quelle due donne durante i momenti trascorsi insieme? Come avranno commentato, tra di loro, ciò che stava avvenendo “dentro” le loro storie? Che cosa avranno detto di questo Dio manifestatosi a loro e ai loro mariti in modo così particolare? Tra l'altro, dei quattro coniugi, solo Elisabetta è quella che non riceve - stando ai Vangeli - alcuna rivelazione divina riguardo la sua maternità: eppure, è quella che più degli altri tre sperimenta su di sé la grandezza della potenza di Dio, in quanto anziana e sterile. Sembra quasi che per lei la gravidanza sia stato, sì, un fatto inaspettato, ma comunque vissuto e sperimentato in maniera molto ordinaria, rispetto a Maria. E forse, è proprio questo che rende Elisabetta ancor più vicina a noi, a quella parte di umanità che, senza clamori continua a credere con insistenza e a sperare contro ogni speranza, confidando solo nella misericordia di Dio. Elisabetta ha qualcosa di particolare che la rende molto più simile a noi: ed è l'ordinarietà e la quotidianità della sua esistenza e del suo modo di vivere la fede, il suo nascondimento messo in atto dal momento in cui scopre di essere incinta, il suo sentirsi un nulla di fronte alla grandezza della cugina più giovane, la sua insistenza a rimanere fedele alle promesse di Dio nel momento in cui dovrà dare al proprio figlio il nome di Giovanni, contro il parere della tradizione e della legge. Una donna forte e coraggiosa come molte presenti nella storia dell'umanità, che senza fare rumore intorno a sé hanno scritto pagine di vita vissuta e di fede professata di fronte alle quali noi siamo veramente poca cosa. E tra esse, ci mettiamo molte delle nostre mamme e delle nostre nonne, che hanno sperimentato la sofferenza e il dolore sulla propria pelle, e hanno sempre risposto con un “sì” anche quando tutto intorno a loro diceva “no”. Elisabetta è madre di quell'umanità umile ma talmente amata ed esaltata da Dio, da essere considerata il vertice più alto della Creazione, proprio a causa della sua umiltà. La figura di Elisabetta oggi è più attuale che mai. Con il suo nascondimento e con la sua presenza silenziosa a fianco di un marito reso silenzioso da Dio a motivo della sua incredulità, ci insegna che ciò che conta nella vita non è l'apparire, ma l'essere. Se dunque Elisabetta, come spesso diciamo, è anche immagine di una Chiesa di antica tradizione curva sotto il peso degli anni e delle proprie fatiche, apparentemente incapace a rigenerarsi e che guarda con speranza alle giovani Chiese piene di vitalità, non facciamoci prendere dalla delusione ogni volta che abbiamo l'impressione che le nostre chiese si svuotino, che le nostre assemblee invecchino, che le nostre attività vadano a vuoto: da Betlemme, infatti, “così piccola per essere fra i villaggi di Giuda - ci dice Michea - uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele”. Dio è capace ancora oggi di stupire l'umanità. E ne avremo la prova a breve, quando le voci dei suoi angeli ci inviteranno a correre alla grotta di Betlemme.

                                                                                                                         don Franco Bartolino

 

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