È interessante notare come il Vangelo di questa terza domenica di Quaresima introduca il tema della conversione attraverso l'anticipazione di entrambe le cose, ovvero il racconto di due fatti di cronaca e l'interpretazione di questi fatti da parte di Gesù attraverso una parabola, quella del contadino che si prende cura di un fico che non dà frutti. Se poi andiamo in profondità nella lettura di questi tre brani di Vangelo, scopriremo che la conversione ha un elemento comune, ovvero la necessità di cambiare il nostro modo di vedere e di pensare Dio, che non può essere visto come un giudice castigatore ma come un Padre misericordioso, paziente verso chi fa fatica a vivere con onestà e rettitudine nella via della salvezza.

            E proprio l'accento posto sulla pazienza divina costituisce lo specifico del brano di Vangelo di questa domenica. Gesù, parte da due fatti di cronaca, entrambi drammatici e sfrutta l'emotività del momento per far presa su chi lo ascolta e fargli comprendere il suo insegnamento. La credenza comune tra i Giudei di quel tempo era che certe disgrazie non avvenivano “a caso”, ma che rispondessero a una sorta di castigo divino come conseguenza di colpe personali o collettive commesse nei confronti di Dio, il quale, esasperato, mette in guarda gli uomini per mezzo di queste calamità. È come quando, di fronte a un susseguirsi immediato di calamità naturali - pensiamo ai movimenti tellurici della nostra terra - o di eventi bellici che ultimamente stanno colpendo con troppa frequenza varie parti del mondo, si sente gente che dice: “Ecco, sta arrivando la fine del mondo”.

            Gesù da una parte vuole sfatare il pregiudizio che lega le sventure terrene a un castigo divino ma dall'altra parte vuole pure ricordarci che la vera disgrazia è quella di un'umanità insensibile ai segni dei tempi e soprattutto poco propensa alla conversione. I fatti della vita, soprattutto quelli drammatici, sono un ammonimento che ci ricorda la necessità di non sprecare l'esistenza in cose banali e di concentrare la nostra attenzione sulle cose che contano veramente: e per fare questo, è necessaria una profonda conversione altrimenti, la nostra vita sterile come il fico della parabola, che a null'altro serve che a essere tagliato e a farci un poco di legna da bruciare.

            Ma a questo punto della narrazione del Vangelo, avviene un'altra cosa interessante. Gesù ci parla della necessità continua di una conversione che ci riporti a lui per dare un senso alla nostra vita per cui, di fronte a un atteggiamento di sterilità spirituale, l'intenzione del padrone della parabola, che incarna bene l'idea di un Dio giudice sarebbe quella di eliminare alla radice il problema. In realtà, Dio non è - come spesso vorremmo che fosse - un padrone drastico che elimina il male alla radice purché il bene trionfi. Il Dio di Gesù Cristo è molto più simile al servo, che concorda con il suo padrone sul fatto che il problema del male vada risolto alla radice, ma ciò potrà avvenire solo dopo un paziente lavoro di attesa e di accoglienza.

            Che fatica, rialzarsi da una situazione di annullamento o da un'esistenza sterile: ma che bello sapere che, nel momento in cui qualcuno ci chiama a un'inversione di rotta, questo “Qualcuno” ha il volto misericordioso di Dio dell'Esodo che, come roveto ardente, si accende di passione per l'umanità, e soprattutto quel Dio dal cuore umano che Gesù ci ha rivelato!

                                                                                                                                      don Franco Bartolino

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